Fanfiction Luce

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    PRIMA DEL PIANETA BLU

    1_47


    In un assolato pomeriggio di aprile, Actarus e Mizar avevano deciso di comune accordo di dedicarsi al giardinaggio: le piante erano cresciute moltissimo, quindi andavano travasate in vasi più capienti insieme al nuovo terriccio.
    “Ti ricordi Actarus, hai promesso di raccontarmi la storia di quella principessa…”
    “Oh, ma sei implacabile, Mizar! E va bene…”

    La Stella Antares brillava di luce propria e mi attirava come una calamita. Erano molti giorni che viaggiavo senza una meta precisa, decisi quindi di fermarmi lì.
    Atterrai in una città molto grande, era la capitale. Sapevo che era governata da una monarchia, come lo era stato il mio pianeta d’origine: in passato avevamo avuto qualche sporadico contatto diplomatico con loro.
    Appena toccai il suolo, vidi venirmi incontro una ragazza bellissima dai lunghi capelli biondi. I suoi occhi verde mare mi guardavano implorando una muta supplica. Si comportava come mi conoscesse, quasi ci fossimo dati appuntamento.

    “Ti aspettavo, principe di Fleed…”
    “Come? Noi non ci siamo mai visti” le risposi sbalordito.
    “Lo so, ma io e gli abitanti di Antares, abbiamo seguito per filo e per segno la tua tragica vicenda.”
    Abbassò gli occhi imbarazzata, poi continuò con voce sommessa.
    “La tua stella è stata distrutta dai feroci sicari di Vega… la tua famiglia… il tuo popolo… ohh!”, disse portandosi una mano alla bocca, poi alzò lentamente lo sguardo verso di me e proseguì.

    “Il feroce re Vega vuole sottomettere anche il nostro pianeta, qualche suo disco bellico ha già bruciato i nostri campi e alcuni paesi ai limiti della città. Agisce così per farci paura, per mandarci via, ma io non voglio… e così…”
    Si fece coraggio e proseguì: “Da alcuni giorni sembra ci sia una tregua che io ritengo solo apparente, quindi, quando il mio computer ha segnalato l’arrivo del tuo disco, ho subito pensato che fossi venuto qui in nostro aiuto. E’ così, vero?” chiese lei supplichevole, congiungendo le mani come stesse formulando una fervida preghiera.

    Prima di risponderle, volli osservare bene il luogo dove mi trovavo. Davanti ai miei occhi vidi subito la reggia: era molto grande e ben diversa da quella dove ero vissuto io. Un vasto edificio tutto a forma di torri in varie dimensioni di colore bianco azzurrognolo. La strada che conduceva al portone centrale era a curve e leggermente in salita. Ai lati sorgevano delle siepi molto basse e l’erba cortissima era di un verde diverso da quella che ero abituato a vedere; molto più chiara e brillante. C’era un laghetto pieno di ninfee dove nuotavano le anatre. Sembrava un posto disabitato, non c’erano rumori, l’aria era immobile.

    “Ti prego di scusarmi… non mi sono ancora presentata” disse lei, accorgendosi solo in quel mentre che aveva parlato di corsa e non aveva osservato l’etichetta che i rispettivi ruoli richiedevano.
    Gli tese la mano bianca e affusolata e gli disse fissandolo negli occhi: “Mi chiamo Myra e sono la principessa di questa stella. Entriamo nel palazzo.”

    Il portone era solo accostato e in ogni stanza regnava la penombra. Nessuno ci ricevette, sembrava un palazzo disabitato, benchè il perfetto ordine che regnava nei locali denunciasse la costante e molteplice presenza di domestici.
    Come avesse intuito la mia perplessità, si affrettò a spiegarmi la situazione.

    “Questo è il salotto, accomodati dove vuoi” disse lei indicando con la mano un divano e delle poltroncine di seta color oro antico.
    Si trattava in realtà uno dei numerosi salotti del castello, quello era il più piccolo e intimo della casa, il più adatto a ospitare due persone che ancora devono conoscersi e parlare di questioni di vitale importanza.
    Nel mezzo di quella stanza quadrata, c’era un tavolo di vetro molto grosso e delle sedie in stile semplice ed essenziale.
    Dal mobile bar, Myra prese una bottiglia e versò un liquido denso di amarena in due bicchieri. Mentre lisciava con le mani le pieghe del lungo e ricco abito di seta pesante di un rosa molto acceso, si decise a parlare tenendo lo sguardo fisso sul pavimento di legno scuro.
    “Dopo l’attacco di cui ti parlavo prima, i miei genitori hanno deciso che sarebbe stato meglio per loro allontanarsi per un certo periodo… io invece sono rimasta. Sono voluta rimanere qui a tutti i costi a difendere la mia patria, anche se in realtà non saprei come. I miei due fratelli sono andati via da alcuni anni e ci sentiamo di rado.”
    Tacque subito dopo. Era chiaro che gli argomenti trattati erano per lei molto pesanti e difficili, soprattutto in quel momento.

    “Cosa è poi successo?” chiese Mizar con impazienza, mentre portava con fatica un grandissimo vaso di terracotta.
    “E’ successo che, il giorno dopo, alcuni dischi provenienti da Vega hanno fatto di nuovo la loro comparsa. Non si aspettavano di trovarsi ad aspettarli il mio robot, quindi, dopo averli distrutti, non se ne sono più visti altri. La famiglia della principessa è tornata a casa e da quel momento sono vissuti sempre felici e contenti.”
    “Tutto qui?” chiese Mizar piuttosto deluso dalla piega che aveva preso la storia. Si sarebbe aspettato un racconto fantascientifico pieno di mostri giganti, esplosioni spettacolari, tradimenti, colpi di scena inaspettati, lacrimosi addii…
    “Tutto qui, certo. E adesso finiamo di sistemare questo vivaio prima di sera, d’accordo?”
    Il bambino tacque e obbedì piuttosto scontento. Sentiva che c’era molto di più, un fitto e intricato mistero impalpabile, ma pur vivo e presente.

    Aveva visto giusto infatti, ma quei fuori schermo, nemmeno Actarus li aveva potuti vedere, eppure c’erano stati e nel tempo l’avevano toccato da vicino. Molti personaggi che avrebbe poi incontrato sulla Terra come nemici inviati da Vega, erano passati proprio da Antares seguendo delle lunghe e spesse trame assai complicate.


    La Famiglia Reale di Antares


    “Ho vinto io anche questa volta!” disse Myra tutta trionfante, scrollando i lunghi capelli.
    “Diciamo piuttosto che ti ho lasciata vincere, è il giorno del tuo compleanno, no?” le rispose Mal, il fratello maggiore.
    “Cosa intendi dire? Che il premio ricevuto in quella famosa gara di fioretto, è stato per farmi un favore?” lo provocò lei, fissandolo con occhi scintillanti e le guance rosate per la gioia e lo sforzo appena compiuto.
    I due ragazzi si erano allenati di prima mattina nella grande palestra posta nel seminterrato del palazzo reale.
    Myra era una ragazza spigliata e moderna, poteva considerarsi a ragion veduta, una Lady Oscar aliena dei giorni nostri. La sua passione per lo sport non offuscava affatto la sua femminilità: poteva portare con la stessa disinvoltura gli abiti principeschi e quelli maschili da equitazione, senza che la sua grazia innata venisse a meno.
    “Esiste anche la fortuna dei principianti” continuò il fratello senza darsi per vinto, col preciso intento di farla arrabbiare.
    “E’ vero, ma quattro anni di allenamenti continui, non ti sembrano troppi per considerarmi ancora una principiante?”
    “Dipende…” abbozzò lui con un sorriso ambiguo.
    “Vuoi sempre avere ragione tu. Ma invece la più brava sono io!”

    Il piccolo battibecco venne interrotto dal segnale lampeggiante che videro sullo schermo.
    “Il dovere ci chiama, anzi, i nostri genitori reclamano la nostra presenza, andiamo; per oggi abbiamo fatto abbastanza qui, dobbiamo farci belli per la festa di stasera mia cara. Eh sì, non solo si festeggia il tuo compleanno, ma anche il tuo ingresso in società, quindi è ora che cominci a darti una sistemata, il tempo vola!”
    “Anche tu devi darti una sistemata, sai che ne hai molto bisogno?” gli rispose la sorella con lieve impertinenza nella voce e un sorriso di scherno.

    Entrarono nello studio del padre, dove entrambi i genitori li attendevano con trepidazione.
    “Abbiamo appena ricevuto le conferme per la festa di stasera. Verranno tutti, tranne i sovrani di Fleed, i quali ci hanno appena mandato una lettera dove si scusano moltissimo, ma hanno una lunga lista di impegni importanti e improrogabili” disse la madre con un lieve sorriso.
    “Però, vostro fratello Roy, ci ha appena comunicato che sarà qui puntualissimo” precisò il padre molto soddisfatto. Tutti i visi si illuminarono di gioia alla notizia.

    I tre fratelli si somigliavano molto fisicamente: i due maschi avevano dei folti capelli biondo scuro, gli occhi verdi. Myra aveva dei colori leggermente più chiari, l’incarnato avorio ereditato dagli avi materni.
    Erano molto uniti, nonostante le piccole schermaglie e battibecchi che ogni tanto si concedevano: del resto, non sfociavano mai in vere liti, anzi, erano sempre pronti ad aiutarsi in caso di necessità.
    Roy era il maggiore: un carattere estroverso e portato all’avventura. Aveva scelto la carriera militare, quindi la maggior parte dell’anno la passava fuori casa e quando tornava era pieno di novità e regali per tutti.
    Mal era il secondogenito e fin da bambino aveva dimostrato la passione per i numeri: teneva i conti con una precisione certosina e riusciva a sistemare tante pendenze. L’informatica non aveva mai avuto misteri per lui.
    Myra era piena di interessi, non stava mai ferma. Era capace di alzarsi all’alba e decidere di aiutare in cucina, poi correva in biblioteca dove si perdeva per ore e ore a leggere senza sosta. Gli sport maschili, l’equitazione e perfino il giardinaggio l’attiravano come una calamita.

    I genitori avevano pensato di organizzare una festa speciale per i suoi diciotto anni. Sapendola così attiva e piena di vita, avevano esteso l’invito a molte nobili famiglie delle vicine costellazioni; speravano in un vicendevole scambio di ospitalità, viaggi, nuove culture.
    Avevano aderito un centinaio di persone, e del resto la stagione era ideale. L’estate era alle porte, il clima giusto, si potevano mettere i tavoli nel grande patio all’aperto che era nel centro del castello.
    Sarebbero arrivati nel tardo pomeriggio e per chi lo avesse desiderato, l’invito sarebbe continuato per tutto il fine settimana.

    L’abito di Myra era tutto bianco e soffice come una meringa. Era il classico modello per le ragazze che iniziano ufficialmente la vita in società. L’aveva disegnato lei, poi era andata dalla sarta e le aveva spiegato nei dettagli come lo voleva: spesso andava a controllare come procedeva il lavoro, aveva paura che non corrispondesse ai suoi desideri. Ci teneva tanto a quel giorno, voleva che tutto fosse perfetto… perfetto come il filo di rarissime perle che aveva ricevuto in dono dai suoi genitori e che ora le adornavano il lungo collo di cigno.

    Gli invitati cominciarono ad arrivare. La famiglia reale al completo, li attendeva sui primi gradini del castello. Ad uno ad uno, si sarebbero presentati con un lieve inchino.


    Il ricevimento


    Tutti gli invitati arrivarono puntuali portando ognuno almeno un regalo. Erano molto eleganti, quell’eleganza tipica dei nobili, dall’apparenza semplice e senza fronzoli, ma che in realtà è molto fine e ricercata.
    La cena si svolse con elegante rapidità. Il lieve suono di un’arpa che li accompagnò fino alla fine, fu molto gradito da tutti.
    Finto di mangiare, lasciarono il patio e uscirono nell’immenso giardino che circondava tutto il castello.
    C’erano anche alcuni parenti della famiglia reale, i quali ebbero così modo di conoscere i regnanti delle stelle vicine.
    Il grande parco era stato decorato con una moltitudine di lampioncini colorati appesi agli alberi; dappertutto c’erano piccoli tavoli rotondi in ferro battuto e in un angolo, una piccola orchestra allietava la serata. Non era stato allestito un ballo vero e proprio, ognuno doveva sentirsi libero di svagarsi come preferiva, soprattutto avere l’opportunità di conoscere gente nuova.
    Anna e Carlo, i due cugini alla lontana di Myra, nonché complici di ogni genere di giochi e avventure fin dalla più tenera età, le corsero incontro e si fecero grandi feste: durante la cena erano stati piuttosto lontani e si erano salutati velocemente.
    “Ciao, carissima! Benvenuta tra gli adulti!” le dissero in coro i due fratelli ridendo. Loro erano di pochi anni più grandi di lei.
    “Era ora, finalmente! Adesso potrò fare tutto quello che mi pare e piace” disse Myra facendo una giravolta.
    Da lontano li osservava con sguardo decisamente scrutatore e piuttosto severo, il suo cugino di primo grado, Alan, di appena dieci anni. Era piuttosto basso di statura per la sua età, aveva i capelli lisci e cortissimi biondo cenere, gli occhi tanto chiari che a volte nel sole sembravano quasi bianchi. Gli occhiali di vetro sottile e dalla forma rotonda, gli conferivano un’aria da professore universitario, il suo sguardo ti perforava e non gli sfuggiva mai niente; osservava molto e parlava solo se ne aveva voglia, elargiva consigli, faceva appunti e pronunciava sentenze agli adulti su ogni cosa che secondo lui era sbagliata, in modo sintetico e ad effetto doccia gelata.
    Si avvicinò a Myra porgendole la mano e dopo avergliela stretta, esordì con cipiglio severo: “Cara cugina, ti auguro un buonissimo compleanno. Se ancora non ti è chiaro, sappi che da oggi in poi tu sei un’adulta responsabile, devi imparare a gestirti da sola, viaggiare, conoscere bene tutti i popoli, studiare moltissimo, conoscere tutte le regole di galateo a memoria.”
    Si fermò alcuni istanti per prendere fiato, poi continuò scrutandola con attenzione: “E’ inutile che ti ricordi che sei in età da marito, ed è ora che ti spicci a trovarne uno prima che sia troppo tardi.”
    Tutti e tre scoppiarono in una fragorosa risata. Quel bambino era troppo simpatico nei suoi modi, perché si prendeva molto sul serio, ma la sua aria da adulto supponente, si scontrava con quel suo aspetto da ragazzino che ha ancora molti anni davanti a sé prima di potersi definire grande.
    “Ti sei vestita abbastanza bene, non c’è male”, le disse sezionandola da capo a piedi.
    “Però, se fossi venuta a consigliarti con me, ti avrei fatto scegliere un altro modello e una diversa pettinatura… sì, non ti valorizza molto. Ad ogni modo, il voto è sufficiente.”
    Un altro scoppio di risa irruppe nell’aria, alla quale si erano unite alcune signore che avevano sentito quella lezioncina con voto finale.

    Alan ritenne terminata la sua funzione, quindi dignitosamente uscì di scena e si unì al gruppo di suoi coetanei che si stavano preparando per un gioco da tavolo.
    A soli dieci anni, era già in grado di liquidare complicate congetture tra adulti in una sola frase risolutoria e lapidaria. Un giorno, mentre era tutto impegnato a risolvere un complicato problema di algebra, una parte del suo cervello si era dissociata e aveva ascoltato una conversazione piuttosto drammatica.
    “Quell’uomo ha rovinato la sua vita e un’intera famiglia per seguire una ragazza di umili origini e con quei drammi alle spalle… un passato oscuro.”
    Quasi un’ora di discorsi ripetitivi, mormorati all’interno di un gruppo di donne pettegole.
    Alan era comparso nel rettangolo della porta e aveva liquidato l’intera vicenda con una sola frase: “Di solito si dice: se non si fosse innamorato di quella bella infelice, non sarebbe stato un uomo.”
    Come per incanto il chiacchiericcio si era spento come quando si stacca la corrente all’improvviso e ad una ad una, se ne erano tornate a casa propria; Alan, invece, al suo compito di matematica.

    Myra, Carlo e Anna si tennero e per mano e percorsero a piedi tutto il viale. Avevano tanta voglia di ascoltare i discorsi della gente a spizzichi, era uno dei loro divertimenti preferiti.
    Udirono queste frasi: “… si è ripreso da quella batosta, non c’è male, ma se l’è vista molto brutta… l’ho visto ringiovanito… non si usano più ormai i gioielli di granata, poi invecchiano… troppo chiari quei colori per una donna della sua età… e quanto rossetto, è volgare, non ha mai avuto buon gusto… credimi, è questione di giorni e il duca di Altair, dovrà dichiarare bancarotta… il re di Zari è così pieno di corna, che per passare dalla porta è costretto a piegarsi… l’ha sposato per i suoi soldi, lo sanno tutti… si è più saputo niente di quel figlio illegittimo… non sono stati invitati i re di Fleed alla festa?”
    “Com’è scema la gente!” sbottarono i tre ragazzi in coro, quindi corsero lontano dove c’era l’orchestra e si misero a ballare tra di loro.

    In un angolo del giardino si intravedeva il principe della stella Lupo, il principe Gauss, con la sua fidanzata Helen.


    Gli invitati


    I due giovani conversavano con un gruppo di persone provenienti da Zari. Si erano conosciuti tempo addietro durante un ritrovo di studenti, poi in un viaggio di gruppo alla ricerca di pianeti sconosciuti.

    Dal lato opposto del giardino, alcuni di scienziati discutevano davanti al tavolo dove venivano distribuite le bevande.
    Una giovanissima ragazza veghiana dai corti capelli a punta e di uno scialbo colore lavanda, si era avvicinata con un poco di timore all’ormai famosissimo ministro delle scienze Zuril. Voleva assolutamente parlargli, ma non osava farsi avanti, lei era ancora una studentessa, ma con la testa piena di idee molto fertili per le formule chimiche e gli esperimenti. Studiava e lavorava insieme al fratello, ora assente. Era venuta da sola ed era lì per caso: aveva preso il posto di una nobile famiglia del suo pianeta, i quali, all’ultimo istante erano stati costretti a rifiutare l’invito, ma al tempo stesso dispiaceva molto lasciare il posto vuoto, così avevano pensato di chiedere ad altri di andare a quella festa.
    Shira era stata pronta a cogliere l’occasione, visto che da tempo cercava di emergere tra i luoghi più esclusivi e quell’occasione non voleva lasciarsela sfuggire.
    Mentre si avviava lentamente con gli occhi rivolti a terra verso il bar, si scontrò con lo scienziato.
    “Oh, mi dispiace moltissimo!” mormorò lei.
    “Non fa niente… a proposito, come ti chiami? Non credo di conoscerti” le rispose Zuril fissandola con intensità, mentre raccoglieva da terra il tablet che gli era caduto durante lo scontro.
    Fatte le dovute presentazioni, i due si accomodarono in un tavolino in disparte e cominciarono a parlare fitto fitto di esperimenti, formule, chimica, fisica, cibernetica e progetti.
    Dopo oltre un’ora di questi scambi, Zuril decise che quella ragazza, dallo sguardo sfuggente e profondo al tempo stesso, era di un’intelligenza fuori dal comune e i suoi esperimenti gli sarebbero tornati utili per mettere a punto le armi adatte a progetti bellici invasivi. Si allontanò alcuni istanti e in disparte, contattò re Vega per notiziarlo di questa novità.
    Il re gli diede carta bianca su tutto: convenne anche lui che Shira sarebbe stata un’ottima alleata e non dovevano lasciarsela scappare.

    Nel cielo apparvero all’improvviso una moltitudine infinita di fuochi d’artificio enormi e di tutti i colori in segno di buon augurio. Alla fine, spiccarono in volo decine e decine di colombe addestrate, formando una perfetta e sincronizzata danza acrobatica. Provenivano dalla stella Delta: il comandante Haruk, appassionato di quei volatili, le aveva inviate come deferente omaggio per la festa della principessa.

    Il principe Gauss si staccò dal gruppo ed entrò nel guardaroba per prendere la sua giacca.
    Stava per tornare fuori, quando sentì il sussurro di una voce a lui molto nota e si fermò ad ascoltare.
    “Quando pensi di dirglielo?” chiese l’uomo.
    “Presto, appena tornati a casa… anzi, non dirò niente, scapperò via con te e ce ne andremo lontano. Ne avevamo già parlato, ricordi?” rispose la voce di Helen, la sua storica fidanzata, quella che Gauss avrebbe dovuto sposare di lì a pochi mesi, quella che, baciandolo con passione, gli ripeteva sempre di amarlo senza limiti, che la sua vita aveva avuto un senso senza di lui… e che ora invece progettava di lasciarlo e chissà da quanto tempo lo tradiva.
    Aveva sentito abbastanza, senza salutare nessuno prese la sua nave e con quella perfetta calma e freddezza dovuta allo shock, guidò fino a casa senza sentire niente dentro, solo una perfetta estraneità a tutto come fosse chiuso dentro un bozzolo; aveva solo fretta di arrivare, dimenticare quella festa, la gente, i discorsi e… Helen!
    In tutto l’orrore di quella squallida vicenda, un’immagine meravigliosa gli rimase per sempre impressa nella retina: lo splendido bracciale di diamanti che adornava perfettamente il polso di Helen… lo stesso col quale abbracciava languidamente il suo amante.
    Di lì a poco, avrebbe amaramente scoperto che la vera tragedia della sua vita era appena iniziata.
    In quella limpida notte di luna piena, re Vega, a tradimento, aveva attaccato la sua stella, rendendola all’istante arida e inospitale.
    Una volta arrivato in prossimità della sua reggia, Gauss aveva appena fatto in tempo a intravedere da lontano e in mezzo alla nebbia, Lonan, sua sorella, sentire il grido accorato, chiamarla, poi il nulla.

    Quella notte di inizio estate, la bramosia di un volgare usurpatore aveva calpestato senza pietà il fiore appena sbocciato della vita di tante persone.

    Ma l’odio chiama odio, la vendetta chiama vendetta. Così quel principe, lasciò per sempre insieme ai suoi sogni, quella figura diafana e delicata di giovane nobile che si affaccia alla vita e con impazienza ne coglie tutti i frutti. Divenne un uomo imponente dai tratti duri e decisi.
    E del lupo, oltre all’aspetto che mutava in lui nelle notti di plenilunio, ereditò l’avidità, la sete di potere e dominio e, soprattutto, la vendetta.
    Ma sempre e fino all’ultimo respiro, senza che lo volesse, gli occhi della mente vedevano la crudele bellezza di quei brillanti che adornavano il polso di una donna che credeva essere sua, ma che invece abbracciava un uomo senza volto che gliela aveva rubata.

    Li vide anche anni dopo, in quella notte stellata di luna piena, sulla Terra, quando il suo cuore venne trafitto a morte dall’alabarda spaziale di Goldrake…li vide fino all’ultimo respiro… su quel verde prato, dove la sua mano aveva afferrato con la forza della disperazione un fiore primaverile.
    Ma dentro, lui era già morto molti anni prima, su Antares, in una sera di inizio estate, quella sera che avrebbe potuto essere una delle più belle della sua vita.

    Epilogo


    Il principe di Fleed non seppe mai che il suo breve soggiorno sul pianeta Antares, avvenuto durante il suo lunghissimo viaggio nello spazio prima di trovare un porto sicuro sul pianeta blu e durato soltanto una manciata di giorni, aveva riunito i destini di tanti personaggi e intricate vicende, che poi avrebbe incontrato sul suo cammino e precisamente sulla Terra, quando venne minacciata dalla bramosia e sete di conquista di Vega.
    Su quel pianeta non c’era stata nessuna invasione veghiana, tranne una breve incursione senza gravi danni: eppure quella stella, per quei strani disegni che il destino ama dipingere sulla tela, aveva visto i semi che sarebbero sbocciati molto presto per fiorire in una immensa guerra interplanetaria.



    FINE
     
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    LA CLASSE NON E’ ACQUA

    1_60


    L’inconfondibile rumore di un grosso pallone di gomma da masticare scoppiato, fece girare lo sguardo di Zuril verso il rettangolo della porta.
    Era vestito con eleganza estrema, tutto in nero: mancavano solo gli ultimi ritocchi, che consistevano nell’eliminare ogni traccia aliena dal suo aspetto.
    La figura della principessa Rubina si era materializzata sulla soglia.
    “Sua Altezza ha perso la parola? Che c’è, non sono abbastanza elegante per la Sua presenza?” l’apostrofò lui con tono e sguardo ironici all’ennesima potenza.
    “Oh no, sei fin troppo elegante per finire di costruire quella dannatissima base sottomarina sulla Terra; devo forse pensare che il motivo che ti spinge a scendere dalla Luna, sia di altro interesse?”
    Gli disse sbattendo sul tavolo il biglietto del teatro di Tokio, sul quale era indicato il giorno dello spettacolo di lirica.
    Lui non si scompose affatto, ma tutto intento a sistemarsi la cravatta, stirò le labbra in un ampio sorriso.
    “Esatto, cara! Hai fatto centro!” e nel dirlo, estrasse dal cassetto una busta e la sbattè davanti agli occhioni celesti della principessa.
    “Da quanto si legge in quel cartoncino, tu stai per fare la stessa cosa”, le disse con noncuranza, mentre sistemava il fazzolettino di seta bianca dentro la tasca in alto della giacca.
    “Dico bene?” insinuò con studiata malizia, spruzzandosi senza parsimonia di raffinata e costosissima acqua di colonia.
    “E dal momento che condividiamo lo stesso segreto interesse, perché non usare un unico mezzo di trasporto per recarci lì? Semplice, economico ed ecologico!” le disse, lasciandola basita.
    “A proposito cara, anzi, Altezza, con quale toilette pensi di esibirti in platea?”
    Rubina aveva taciuto per lunghi minuti totalmente spiazzata. Decise che tanto valeva arrendersi e con voce bassa, sussurrò: “Con questo abito che indosso.”
    Zuril la osservò un paio di volte dall’alto in basso, poi dal basso verso l’alto. Si accomodò sulla poltrona per capire se fosse il suo computer oculare ad aver perso dei gradi, oppure lei che non aveva capito un accidente di cosa fosse in realtà l’ambiente del teatro e di come ci si dovesse presentare.
    La ragazza portava i capelli raccolti in una coda di cavallo, indossava un lungo abitino di cotone a fiori tutto svolazzante, le ballerine ai piedi e niente trucco.
    Il Ministro congiunse le mani e le posò sotto il mento, mentre cercava qualcosa di sensato da dirle.
    Bisognava partire da zero, prima elementare, no, così non si poteva andare in nessun posto, tranne che tentare di integrarsi in un gruppo di Figli dei Fiori, sempre ammesso di trovarlo.
    “Allora, Rubina, intanto sputa subito quella gomma, poi ti mostro com’è fatto un abito da sera.”
    “Non c’è bisogno, ne ho tanti nella mia camera, vado subito a metterne uno” gli disse un tantino risentita e offesa.
    “Fatti anche il trucco e la giusta pettinatura!” le gridò mentre lei era già corsa fuori.
    Tornò dopo una decina di minuti con i capelli sciolti e vaporosi, un miniabito aderentissimo arancione e tutto glitterato con scollo all’americana.
    A Zuril cascarono le braccia, la mascella e l’umore.
    “No, scusami Rubina, però questo non puoi chiamarlo abito da sera. Partiamo subito dal colore: sbagliatissimo per il teatro e per te, perché fa decisamente a pugni coi tuoi capelli rossi.
    Secondo gravissimo errore: questo modello non è da sera e nemmeno da mezza sera! E’… non so bene come esprimermi senza offenderti… voglio comunque essere gentile… non è da principessa, ecco!”
    “Ma io vado sotto falsa identità, nessuno deve sapere che sono nobile” gli disse con tono piccato.
    “Allora, visto che davvero non ci senti, ti dico chiaro e tondo, che solo le ragazze in cerca di clienti di notte e sotto un lampione si vestono così! Hai capito adesso, o devo scendere in altri particolari poco fini e per nulla educati?”
    “Va bene, va bene, quante storie, uffa!” disse lei sbuffando e buttandosi a peso morto sulla poltrona di velluto cremisi.
    Zuril aprì il suo armadio e a sorpresa, videro la luce una decina di abiti elegantissimi, raffinati e certamente molto costosi.
    Rubina balzò a terra e corse tutta contenta a guardarli da vicino.
    “Ma sono stupendi! Dove li hai presi?” mormorò la ragazza, mentre con una mano sfiorava quelle stoffe preziose.
    “Lascia stare questi dettagli, scegline uno che ti stia bene, piuttosto.”
    “Questo! Ecco, questo mi piace tanto!” disse lei e corse via a cambiarsi.
    Era un lungo e liscio abito in seta blu notte con scollatura a punta e senza maniche: piccoli e quasi invisibili brillantini illuminavano di stelle quel cielo scuro. Una larga sciarpa in tulle della stessa tinta adagiata sulle spalle, completava la semplice ma raffinata toilette.
    La fanciulla apparve nel rettangolo della porta e Zuril la osservò con sguardo severo e professionale, tenendo in mano un bicchiere pieno di grappa.
    “Ecco, il vestito è giusto, ma su di te non va.”
    “Perché?”, sussurrò lei alquanto delusa, mentre il sorriso sulle labbra si spegneva all’istante.
    “Semplicemente perché richiede un fisico diverso dal tuo, capisci?”
    “No!” gridò lei quasi disperata.
    “Sarò semplice e chiaro: la scollatura va adeguatamente riempita. Quindi, o ti cerchi un bravo chirurgo estetico che a tempo di record ti faccia lievitare il decolletè di almeno due taglie, o scegli un modello diverso: hai ampia scelta, mi pare” le disse indicando l’armadio con la mano, mentre dal cassetto estraeva una sigaretta.
    “Ma uffa, e dimmelo prima, no? L’hai detto tu che potevo scegliere un abito qualsiasi!”
    “Che problema c’è? abbiamo ancora molto tempo a disposizione, prima di partire” rettificò lo scienziato, aspirando una lunga boccata di fumo.
    “Questo va bene?” gridò lei arrabbiata, estraendo un vestito rosa pallido con le maniche a tre quarti, scollatura quadrata e dalla gonna ampia e ricca.
    “Provalo”, rispose lui con tono neutro.
    “Lo provo e me lo tengo, stavolta non lo cambio più! Che fatica essere belli!”
    “Come vuoi, però ti avverto subito che, in Giappone si usa tirare uova marce non solo agli artisti mediocri, ma anche agli spettatori malvestiti. Dopo, non dirmi che non ti avevo avvertita.”
    Zuril parlava con calma serafica e il tono adulto che di solito si usa con chi proprio non vuole capire. Stranamente non rivolgeva a Rubina nessuno sguardo ammirato, né tentava il benchè minimo accenno di corteggiamento. Erano quasi due estranei che dividevano lo stesso segreto, la stessa trasgressione e avevano tutto l’interesse che nessuno della base lunare li scoprisse.
    “Ecco, mi piace e rimango così, non ti provare a dirmi che non sto bene, chiaro?” lo aggredì lei con la voce lievemente tremula e incrinata dal pianto represso.
    “Ottimo, ti sta d’incanto! Ora accomodati sullo sgabello davanti allo specchio per l’operazione trucco e parrucco, forza!”
    “Ancora? Ma che roba è? si fa tardi, andiamo!” brontolò lei sbuffando e protestando.
    “Ci penso io, sarai una meraviglia.”
    Con il ferro caldo e una spazzola, i capelli si trasformarono in tanti lunghi e morbidi riccioli che le ricadevano con grazia sulle spalle. Una coroncina di fiori e brillantini completò l’opera.
    “Non tirare in quel modo, mi fai male, accidenti! Un giorno o l’altro, vedrai che te le taglio, quelle brutte zampacce verdi!”
    “Ora guardati, non sembri più tu” le disse porgendole lo specchio.
    “Sto benissimo, ora andiamo?”
    “Trucco! Ti ricordo che hai la pelle molto chiara e le forti luci del teatro rischiano di farti sembrare uno spettro, quindi via libera al fondotinta e fard sulle guance.
    “Quando finisce questa tortura, si può sapere?” replicò la ragazza al limite della sopportazione.

    Venti minuti dopo….

    “Finito! Sei splendida, la più bella dell’universo!”
    “E’ vero… ma dove hai imparato tutte queste cose?” si ammirava compiaciuta nello specchio e le scarpe nuove in raso come l’abito le stringevano un poco, ma l’eccitazione di partire per questa nuova avventura, aveva il sopravvento su ogni piccolo fastidio.
    Lui, da vero cavaliere le diede il braccio, aprì la porta facendola passare e insieme varcarono il lungo corridoio camminando a piccoli passettini.
    “I biglietti?”
    “Li ho presi, sono nella borsetta di raso. Voglio guidare io!” gli rispose lei fremente, al colmo della gioia.
    In fondo, sulla porta d’ingresso, si materializzò una lunga e imponente figura: re Vega!
    I due tapini si strinsero l’uno contro l’altra, mentre il sovrano tentava di mettere a fuoco le loro persone, faticava non poco a riconoscerli.
    “Ma… ma voi siete… impossibile, come avete fatto?”
    “N… noi… veramente… n… non sapevamo… cioè… non è come sembra, possiamo spiegare tutto” balbettarono insieme.
    Il re sorrise come non aveva mai fatto.
    “Ma certo che non sembrate voi, siete eccezionali!”
    Zuril e Rubina rimasero attoniti.
    I due trasecolarono, mentre il sovrano stringeva gli occhi in due fessure per inquadrarli meglio.
    “Così non vi riconoscerà nessuno e sarete liberi di buttare bombe a destra e a manca, attacchi terroristici, bravissimi! Chi potrà mai pensare male di voi?”
    Con sguardo pieno di orgoglio paterno, il re abbozzò una lieve carezza sulla testa della figlia, forse la prima da quando era nata.
    “Andate pure, attendo vostre notizie a breve… sono molto contento che adesso collaborate insieme e siete così affiatati.”
    Come due automi, Zuril e Rubina salirono sulla navetta parcheggiata.
    “Guida tu, io non ne ho più voglia” disse lei porgendogli il telecomando.
    Salirono sul mezzo e si lanciarono nello spazio.
    Dopo molti minuti di silenzio, lei, tenendo ostinatamente lo sguardo verso l’oblò, chiese: “Dove andiamo adesso?”
    “Io a suicidarmi, e tu?”
    “Svolta a destra, la vedi quella costellazione? Ho una mia base, mi fermerò lì per un lungo periodo.”
    “Ecco, siamo arrivati, è questo il luogo?”
    “Sì, ciao e buon suicidio: ti consiglio di usare un sistema rapido e indolore, addio.”
    “Ciao, Rubina, stammi bene”, le sussurrò facendola scendere dal velivolo.
    “Perso per perso, tanto vale che vada a vedere lo spettacolo: a morire c’è sempre tempo” decise lo scienziato osservando l’orario e il biglietto del teatro. Cambiò rotta e puntò veloce sulla Terra.
     
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    RISVEGLI

    1_66

    Duke Fleed era di sicuro un ragazzo bellissimo, intelligente, ricco e rispettato, sicuramente abituato ad ottenere quello che voleva senza chiederlo due volte. Quante ragazze mozzafiato gli giravano attorno quando viveva su Fleed? Quante volte avrà incontrato nella sua gioventù da principe delle ragazze che sospiravano per lui, pronte a fare qualunque cosa…


    Indubbiamente sì, ma poiché faceva coppia fissa con Naida, suppongo che anche lei abbia avuto almeno una volta l’occasione per distrarsi, specie nei momenti di solitudine.
    Ecco come può essere andata secondo me.

    Il sole di mezzogiorno era rovente e nemmeno l’ombra di una siepe si intravedeva lungo quella strada diritta che conduceva alla reggia. Naida la percorreva con coraggio, forza e determinazione, sostenuta dalla certezza di avere ben presto quello che sognava.
    Rallentò il passo e con la mano si asciugò il sudore che le imperlava la fronte; tutta la radice dei capelli era bagnata e i fili più corti restavano appiccicati ai lati del viso pallido e dall’espressione impenetrabile. Aveva il respiro corto, camminava scalza senza curarsi di dove mettesse i piedi, con piccoli passi veloci che sfioravano appena il terreno.

    Doveva incontrarsi con quel ragazzo che conosceva fin dall’infanzia e avevano condiviso tante cose insieme. Si erano dati appuntamento in un punto piuttosto lontano dalle loro abitazioni e siccome per il resto di quella giornata non avevano impegni, avevano pensato di occuparla facendo le cose che più a loro piacevano.
    “E’ quasi l’una, come mai ancora non si vede?” pensò la ragazza oscurandosi in viso.
    “Non viene più, lo so” disse a voce alta.
    “E’ già successo altre volte…”
    La voce tremava di rabbia e dolore, riprese a camminare senza una meta precisa e lo sguardo fisso a terra.

    “Ehi, ma non guardi dove vai?”
    Naida alzò lo sguardo e vide il giovane col quale si era appena scontrata. Era un bel ragazzo aitante, il quale, nonostante la contrarietà per quel piccolo incidente, non sembrava arrabbiato, solo un poco seccato e sorpreso.
    “Mi dispiace, scusami, non ti avevo visto.”
    “Io sì invece, e questa non è la prima volta.”
    “Cosa?”
    “Ti ho già vista alcune volte e l’ultima due giorni fa, a quel raduno di studenti presso il palazzo vicino alla biblioteca”.
    Silenzio assoluto da parte di lei. Era molto amareggiata per l’appuntamento mancato, si sentiva stanca e delusa, voleva solo andarsene.
    Il ragazzo le sorrise tendendole la mano.
    “Mi chiamo Roy, e tu?”
    “Naida” gli rispose porgendogli meccanicamente la sua senza stringerla.
    “Bellissimo nome, è proprio adatto a te! Allora Naida, che ci fai qui tutta sola per la strada con questo caldo?”
    “La stessa cosa che fai anche tu, suppongo” gli rispose con voce incolore, ma al tempo stesso maliziosa.
    “Io sto per prendere il mio disco e andare nella costellazione qui vicina; c’è una festa nella piazza di una piccola città. Ci andiamo insieme?”
    Senza attendere risposta, il ragazzo l’aveva già presa per mano e condotta sopra il suo mezzo di trasporto; lei l’aveva seguito senza fare resistenza.

    Atterrarono dopo una ventina di minuti di volo.
    “Sei mai venuta qui, conosci questi luoghi?”
    “Non ricordo…” gli rispose quasi infastidita e con uno sguardo assente.
    Per tutta la durata del viaggio, lei aveva tenuto ostinatamente gli occhi fissi verso il finestrino e si era limitata a rispondere a monosillabi alle rare domande che lui le aveva fatto.
    Naida continuava a pensare al suo ragazzo, Duke Fleed che lei amava tanto e che ora la sua assenza, le procurava un male quasi fisico.

    Roy aveva intanto parcheggiato il suo disco in una vasta piazza poco distante dal centro. Naida gli camminava a lato, silenziosa e assorta.
    In breve arrivarono alla piazza di quella località: c’era il pieno di gente, venditori ambulanti, musica, intrattenimenti.
    Quel ragazzo era alto e di bell’aspetto, dal carattere gioviale e senza complicazioni. Era stato subito attratto da quella giovane che ricordava aver già intravisto di sfuggita alcune volte e lo intrigava moltissimo per il suo mistero, quell’aria strana e forse triste, per il fascino che la sua avvenenza emanava e il fatto che lei pareva esserne inconsapevole.
    Verso l’imbrunire, si fermarono a mangiare qualcosa in un locale poco lontano dal centro.
    Alla fine della cena, lui le prese entrambe le mani, le portò alle labbra e la fissò intensamente negli occhi.
    “Naida… restiamo qui stasera, vuoi?”
    Lei aveva la testa inclinata di lato e le stanche membra appoggiate alla sedia. Annuì con un cenno del capo, poi si alzò per prima da tavola con modi aggraziati e sensuali.
    “Vado ad avvertire che non rientro a casa, aspettami.”
    Dopo alcuni minuti tornò al tavolo dove Roy era rimasto. La prese per mano e la condusse verso una piccola locanda, un edificio che un tempo doveva essere stato bianco, ma la trascuratezza dei gestori e il passare del tempo, avevano dato un’impronta grigiastra e un tantino decadente.
    I fiori appassiti nel rettangolo del giardino e nei vasi sui davanzali dove l’intonaco si scrostava, completavano il quadro.

    Entrarono nella piccola hall deserta e debolmente illuminata.
    “Cosa volete?” chiese una voce afona.
    “Una stanza per questa notte” rispose Roy alla donna che era apparsa come per magia, grigia e spenta come quel luogo.
    “Ecco qui, ultimo piano. Non c’è l’ascensore.”
    Diede loro una chiave arrugginita e di nuovo scomparve da dove era venuta.
    I due ragazzi salirono le scale di quello spazio angusto e semibuio, ma arrivati in cima, una grande vetrata lasciava entrare tutte le luci insieme alla vita di quella città in piena festa.

    La stanza era avvolta in una penombra tutta blu; la brezza entrava dalla finestra spalancata facendo fluttuare la tenda bianca come fosse un fantasma. Si alzava e sollevava in una danza infinita e sempre nuova: portava con sè voci, profumi, ricordi…
    Naida si abbandonò come priva di forze e lasciò che tutto si compisse. Nemmeno per un istante i suoi occhi si staccarono da quella danza magica e rassicurante… anche lei se voleva poteva essere così: leggera, fluida, incorporea, senza pensieri, vagare come più le piaceva e dove voleva senza spazio e tempo, niente ricordi, dispiaceri, delusioni…


    “… Ho avuto un imprevisto e non ti ho potuta avvertire. Un’importante riunione in famiglia insieme ad alcuni funzionari… non potevo assolutamente mancare. Quando ho chiamato a casa tua, mi hanno risposto che non c’eri…”
    “Ma ora sono qui e qui voglio restare.”
    Il principe di Fleed le sorrise ammirandola tutta. Era splendida e irresistibile. Una regale sensualità a stento trattenuta dal respiro affannoso di lei, dal calore che emanava la sua pelle.
    Naida gli prese la mano e la portò alle labbra, poi lo sguardo fissò un punto lontano, verso una nota finestra del palazzo coperta da una tenda tutta bianca e che il vento caldo gonfiava.
    Era questa, una tenda di stoffa molto più pesante dell’altra, quella della locanda, dove lei si era abbandonata senza riserve, ma anche senza aspettative, né desideri a quel giovane appena conosciuto.
    Le tende del palazzo reale infatti, nella loro pesantezza, parlavano sottovoce ma con insistenza di obblighi importanti, cerimonie ufficiali, ruoli circoscritti e ben definiti.
    Quella garza bianca che volava libera nel cielo, aveva tutto un altro linguaggio, quello che i nobili nemmeno dovrebbero conoscere.

    Anche lui seguì lo sguardo di lei, e senza parlare si avviarono in quella direzione.
     
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    L’ADDIO

    1_67

    Due giovani, belli nell’aspetto e nell’anima, attraversarono i giardini dell’antica residenza del giovane tenendosi per mano, di corsa raggiunsero la spiaggia dove la sabbia veniva lambita dalle acque del mare.
    Lei si era buttata a terra di schianto dopo la lunga e affannosa corsa, i lunghi capelli castani sembravano una seta che danzava a seconda dei voleri del vento e della brezza.

    Anne e Shinobu


    Lui le scostò i capelli dal viso guardandola come la vedesse per la prima volta. I suoi occhi non erano più gli stessi, ma spenti e tristi, benchè la bocca fosse tutta un sorriso.
    Perché?
    Anne sapeva, aveva da poco saputo che per forza di cose doveva farsi da parte.
    La ragion di Stato non contempla la passione, l’amore vero e reciproco. E’ crudele e si fa beffe di questi sentimenti.
    Qualcosa dividerà ben presto i due giovani: un ordine superiore.
    Sinobu si sarebbe recato al distretto meridionale di kiushu; in realtà l'ordine non era che il risultato calcolato a freddo di una vendetta organizzata dal colonnello Hinnin, che tempo prima aveva “guerreggiato” con la fidanzata in una locanda di città.
    Così ora il tenente dovrà fare le valigie e partire per la gelida Siberia, dove gli inverni sono lunghi e freddi, e potrà scaldarsi solo col pensiero di ritrovare l'amata Anne.
    La notte è arrivata, una notte stellata, una notte di luna piena.
    Crudele nella sua sfacciata e commovente bellezza.
    Lei teneva il capo posato sulla spalla di lui, ad un tratto con l’indice lui le alzò il mento e un casto bacio avvicinò le due giovani e fresche labbra.
    Le stelle, la luna e il firmamento ne furono testimoni, commossi e partecipi.
    Sembrava che niente potesse spezzare l’incanto. Se solo il tempo si fosse potuto fermare.
    Come in un film, lei rivedeva il tempo dei loro primi incontri. Non le importava nulla di quel ragazzo agli inizi, tanto che aveva promesso alla sua amica Tamaki, del quale ne era invaghita, che avrebbe fatto in modo che lui si fidanzasse con lei. Era stata sincera in quel momento.
    Ma poi… per ironia della sorte, i tentativi di mandare all'aria i progetti, su di lei avevano avuto effetto contrario.
    Il suo temperamento ribelle e fuori dalle righe aveva affascinato sia il suo promesso sposo che i nonni stessi, i quali vedevano in lei la persona ideale per portare allegria e colore in un castello ormai spoglio e desolato.
    Col passare dei mesi anche Anne si era resa conto che il ragazzo cui è stata promessa, l'aveva affascinata più di quanto pensasse.
    La finta indifferenza che ostentava tempo prima, era divenuta interesse per lui e aveva finito per innamorarsene.
    Come farò a sopravvivere senza di lui? Forse morirò, oppure…
    Vivrò di questi istanti e nessuno me li porterà mai via, nemmeno la morte.
     
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    TEMA

    1_68

    “Shiro! Shiro, dove sei?”
    La voce alta e al tempo armoniosa di Jun, fece eco nel vasto campo di erba appena spuntata.
    Il bambino era come al solito infilato dentro il suo Junior Robot e stava simulando un attacco.
    “Che vuoi? Mi sto addestrando!”
    “Ah, eccoti finalmente. Ti ricordo che non sei solo un pilota, ma soprattutto un bambino che ha ancora tante cose da imparare.”

    La figura snella e armoniosa della giovane stava davanti al ragazzino. Mani sui fianchi e tono che non ammetteva scuse, aveva sul viso un’espressione non propriamente soddisfatta.
    “Devi ancora fare i compiti.”
    “Lo so”, le rispose con noncuranza, maneggiando il volante.
    “A che punto sei? Hai fatto qualcosa o devi ancora iniziare? So che la maestra vi ha spiegato nuovi punti di grammatica.”
    “Certo, e devo fare un tema. Il migliore riceverà un premio.”
    “Lo so bene: ci sarà il Preside che valuterà tutti gli scritti, e quel giorno i familiari degli alunni saranno presenti. Cosa aspetti ad iniziare?”
    Shiro si arrese e sgusciò fuori dall’abitacolo per dirigersi verso casa.
    Dalla cartella di cuoio rosso estrasse un quaderno, una biro e una gomma. Con un colpo di mano si fece spazio sul grande tavolo che stava in mezzo alla cucina. Una bottiglia di plastica, un tegame pieno di piselli in umido e alcuni pezzi di pane, caddero a terra.
    “Ma insomma, stai attento!” gridò Jun osservando quel disastro. Aveva da poco finito di rigovernare e ora un tondo lago di sugo rosso si allargava lentamente sul pavimento chiaro.
    Prese scopa e straccio, in fretta pulì per terra con modi spicci e bruschi.
    “Perché non fai i compiti in camera tua? Io tra poco esco, devo fare la spesa settimanale, avrò bisogno di spazio al mio rientro, e tu di silenzio se non vuoi prendere un brutto voto, o, peggio ancora, ripetere la terza.”
    “Non mi prepari la merenda, mentre faccio i compiti?” le chiese mentre temperava una matita.
    Vinta, Jun si buttò di peso sulla sedia impagliata; quel ragazzino le sembrava una sorta di maledizione in certi momenti, e adesso era uno di questi.
    Reagì con decisione: aprì il frigo, estrasse una lattina di aranciata, un panino già pronto e li mise in un piatto.
    “Non c’è la coca cola? domandò Shiro, mentre fissava con sguardo per nulla benevolo la bibita.
    “No, non c’è!” ribattè la ragazza con stizza mal dissimulata.
    “Non la dimenticare, dato che vai a fare la spesa” l’apostrofò con tono di comando mentre apriva il quaderno.
    Jun chiuse il frigorifero con gesto energico, poi gli si piantò davanti.
    “Senti bene, ragazzino; a proposito di dimenticanze, ti ricordo che il tema dell’ultima volta esibisce una serie infinita di correzioni blu e rosse, con un voto così basso che mi auguro non dover più leggere. Hai capito che devi usare la punteggiatura e non si cambia verbo in continuazione?”
    Shiro annuì vigorosamente col capo.
    “Bene, allora fai le valigie e fila di sopra.”
    Rassegnato, Shiro scese dalla sedia e con gesti lenti prese le sue cose.
    Nella sua cameretta c’era una bella scrivania piazzata davanti alla finestra. Il sole del pomeriggio filtrava tra le persiane e, dalla finestra socchiusa, la lieve brezza primaverile portava con sé gli odori dei fiori sbocciati, del fieno appena tagliato, dell’erba fresca.
    Aprì il quaderno e rilesse il titolo del tema.
    “Tema libero”
    Ricordò le parole della maestra.

    Bambini, voglio che in questo componimento non dimentichiate nulla di quanto abbiamo appena studiato:
    La corretta punteggiatura, le doppie, i verbi
    Comparativi e superlativi irregolari
    Comparativi di maggioranza e minoranza


    Si armò di penna nuova dalla sfera ben appuntita, e con rinnovata energia si mise a scrivere.

    Mi chiamo Shiro Kabuto e sono gia un eroe grandissimo il mio potentissimo robot da combattimento e il più superiore di tutti e riesce ad affettare tutti i Mikenes invece di quella sciocca di Jun che ha molte pochissime armi. E’ tutavia molto bellissima e un fotografo che lha incontrata le a chiesto di posare per un calendario ma Tetsuya gli a mollato un pugno super potentissimo che lo a steso a tera.
    Jun pero lo voleva fare si e mesa a piangere poi e tornata a casa in autobus non aveva voglia di cucinare ma e meglio cosi perché cucina in modo moltissimo pessimo è speso molto stanchissima anche se non fa mai niente.
    Mio fratelo tetsuya a un suo robot da combatimento da solo non riesce a fare niente e lo aiuta boss nuka e muche che gli anno salvato la vita sempre ma lui dice che e il piu bravo di tuti.
    La forteza dela scienza è molto enorme e molto grandisima la piu belissima del mondo ce la invidiano tuti.
    Kenzo Kabuto è il responsabile della forteza delle scienze che e la base opperativa per il grande Mazinga Kenzo e mio padre passa tuto il suo tempo nela fortezza dele scienze e laddestramento degli orfani Tetsuya e Jun pero vuole moltissimo piu bene a me che a loro dato che sono due piaghe molto grandissime.
    Io divento il più bravissimo pilota del mondo e loro niente.


    Shiro posò la penna e si stirò tutto soddisfatto. Rilesse il componimento e si persuase di aver fatto un capolavoro.
    “Vincerò il premio!”
    Alcuni giorni dopo, il lungo corridoio della scuola elementare era gremito di ragazzini, genitori e insegnanti. Il Preside, un uomo che incuteva soggezione anche da lontano, fissava i compiti dei bambini appesi in bacheca. Doveva assegnare il premio al più bravo alunno.
    Rifece il giro più volte e lesse i compiti con attenzione, poi ad un certo punto chiamò la maestra di Shiro e le parlò sottovoce.
    La donna scoppiò in lacrime e uscì dalla scuola quasi correndo.
    I genitori rimasero attoniti; Jun, Tetsuya e Kabuto, elegantissimi per l’occasione, si fissavano con sguardo interrogativo.
    Alla fine, il Preside salì su un gradino e con voce possente proclamò il vincitore.

    “… poiché non mi è stato possibile dare un giudizio al migliore alunno, dato che qui nessuno è stato all’altezza, il premio andrà al peggiore.”
    Esibì davanti ai presenti una grande medaglia dorata, prese il microfono e pronunciò le seguenti parole:
    “Primo premio, peggior scolaro per aver scritto il tema più orrendo che abbia mai letto in tutta la mia carriera, è… Shiro Kabuto!”
     
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    SINCERITA’

    1_70

    E' Venusia a cantare, esattamente nel proseguo - da me inventato - dell’episodio 23, quando lei e Actarus hanno finalmente recuperato il puledro di Rigel e chiarita una volta per tutte la sua natura aliena.
    Sulla strada del ritorno, lei intona la canzone di Arisa nel suo primo Sanremo del 2009.

    Sincerità
    Adesso è tutto così semplice, con te che sei l'unico complice
    di questa storia aliena.
    Sincerità
    un elemento imprescindibile, per una relazione stabile
    che punti alla solidità.
    Adesso è un rapporto davvero, ma siamo partiti da zero;
    all'inizio era poca ragione, nel vortice dell’alienazione.
    E spalare, spalare letame, per ore, per ore, per ore.
    Aver molte cose da dirsi, paura ed a volte pentirsi.
    Ed io coi miei sbalzi d'umore
    e tu con le solite fughe, sfiorarsi ogni due settimane,
    bugie per non farmi soffrire, ma a volte era meglio morire.


    Sincerità
    Adesso è tutto così semplice
    con te che sei l'unico complice, di questa storia intergalattica.
    Sincerità
    Un elemento imprescindibile, per una relazione stabile, che punti alla solidità.
    Adesso sembriamo due amici, adesso noi siamo felici.
    Si litiga quello è normale, ma poi si spala ancora letame,
    parlando di tutto e di tutti, facciamo duemila progetti.
    Tu a volte col disco voli lontano, ti penso e ti tengo vicino.
    Sincerità
    Scoprire tutti i lati deboli, avere i veghiani come stimoli,
    puntando all'eternità.
    Adesso tu sei mio, e ti appartengo anch'io
    e mano nella mano dove andiamo si vedrà.
    Il sogno va da sè, regina io e tu re, di questa storia sempre a lieto fine.


    Sincerità
    Adesso è tutto così semplice, con te che sei l'unico complice
    di questa storia aliena.
    Sincerità
    Un elemento imprescindibile, per una relazione stabile
    che punti alla solidità.
     
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    VENUSIA SCENDE IN CAMPO

    1_71


    A metà serie, gli invasori di Vega ebbero gravi problemi energetici; così, per procurarsi ciò che era fondamentale per i loro dischi e le loro basi, decisero di attaccare in massa i depositi terrestri di superuranio, con tanto di minidischi e mostri come armi d’attacco.
    Goldrake e Goldrake 2, però, erano sempre all’erta e proteggevano le basi con forza e determinazione.

    Da questo punto in poi, iniziò ad entrare in gioco anche Venusia, la quale nel frattempo aveva pensato bene di cambiare look: da cow-girl a space girl, immediatamente divenne più donna.

    Oltre a Venusia, anche Actarus decise di cambiare gli abiti civili, divenendo più principe e meno contadino, mentre Alcor pensava che coi veghiani sempre pronti ad attaccare, non rimanesse tempo per certe sciocchezze come quella di seguire la moda, spendere soldi nei negozi di abbigliamento e in profumi costosi.
    Niente da dire su questa libera scelta, però, quando il vestiario mostra qualche segno dovuto all’usura nella zona gomiti e ginocchia e non emana più fragranza di sapone di Marsiglia, un pensierino a tal proposito sarebbe meglio farlo.

    La figlia di Rigel non ne poteva più di stare quaggiù, mentre il suo Actarus scattava lassù, così, approfittando di un salvataggio di Alcor, che venne ferito nell'azione, si mise ai comandi del suo mezzo e salvò Goldrake da un mostro di Vega.
    Mizar, salito con Venusia su Goldrake 2 durante l'attacco di Vega, venne così a conoscenza che Actarus era in realtà Duke Fleed, il pilota di Goldrake.

    Alla fine di quel combattimento, Actarus ringraziò la ragazza per avergli salvato la vita e con parole romantiche, tenendola saldamente tra le braccia, la invitò a continuare a fare la contadina e non la guerriera.
    “Guarda il cielo. Il sole sta andando giù. Non lascerò questa bella Terra in balia di Vega, ti prometto che la difenderò. Ti prego Venusia, se non sei in pericolo mi sento più forte.”
    Lei, con un sospiro: “Oh, Actarus.”

    Però Venusia voleva a tutti i costi essere alla guida del Goldrake 2, per poter essere di aiuto ad Actarus e il suo pianeta.
    Ed era anche sicura che Alcor e Procton erano d’accordo con il suo desiderio e pronti ad appoggiarla con tutti i mezzi.
    Così, con il loro aiuto, Venusia imparò segretamente a guidare il Goldrake 2, certamente mentre Actarus stava lavorando presso la fattoria.

    Un bel giorno di primavera, durante una cavalcata, Actarus le suggerì di fare attenzione con quel cavallo purosangue indomito, e lei comprese che quella poteva essere l'occasione per iniziare la discussione che aveva in mente.
    “Non ho paura di niente. Sono anche capace di guidare il Goldrake 2 di Alcor, per tua informazione.”
    “Eh? Che cosa?”
    “Non lo sapevi? Alcor mi ha insegnato a pilotarlo, e mi ha anche detto che non appena sarò pronta lo potrò guidare da sola. E allora ti sfiderò.”
    “Vuoi davvero sfidarmi, Venusia?”
    “Certo.”
    “Va bene. Allora… seguimi!”
    Actarus lanciò il suo cavallo alla massima velocità lungo i difficili sentieri della foresta, seguito da Venusia, che era in grado di stargli alla pari per gran parte della corsa, ma ad un certo punto lei gridò di fermarsi.
    “Fermati, fermati Actarus, ti prego. Il cavallo, il cavallo…
    “Non ci penso nemmeno, porterò questa sfida che hai voluto fino in fondo.”
    “Ti dico di fermarti, fermati! Il cavallo non è stato ancora ferrato, è pericoloso!”
    Lui non la sentiva e vedendo che non poteva battere Venusia con la corsa, Actarus lanciò il suo cavallo in un tempismo perfetto per attraversare il fiume, mentre Venusia venne costretta a fermare subito il suo animale che non era in grado di oltrepassare le acque.
    Col fiatone e il cuore a mille, ora che finalmente Actarus e il suo cavallo erano arrivati, lei ripetè:
    “Il cavallo non è stato ferrato bene, poteva ammazzarsi!”
    “Cosaaaa??!”
    “E adesso chi lo sente mio padre?”
    “Mi dispiace Venusia, volevo solo farti capire che la guerra sta diventando sempre più difficile, e io non voglio che tu ne sia coinvolta.”
    “Portiamo a casa il purosangue piuttosto, e speriamo non si sia fatto troppo male.”

    Venusia era delusa e dispiaciuta per almeno due motivi. Far cambiare idea ad Actarus si era rivelato essere molto più difficile del previsto. In più, doveva anche affrontare la rabbia di suo padre. Seduta su una sedia, ascoltava le lamentele di Rigel.
    “Allora, mi rispondi o no? Vuoi cercare di capirmi, eh? Oppure credi che non ci sia niente di sbagliato a flirtare con quel ragazzo senza la mia approvazione? Ricorda, sei ancora minorenne! Dovresti cercare qualcosa di meglio della compagnia di un ragazzo così ordinario come Actarus.
    Cosa ci trovi di così speciale in lui? E’ solo un ragazzo pigro e buono a nulla, posso dirtelo io che lo conosco bene! Hai visto cosa ha combinato oggi con quella bestia? Non solo non si è preoccupato che avesse i ferri a posto, ma gli ha fatto fare un salto chilometrico, roba da ammazzarlo!!!”

    Ma Venusia non disse a suo padre una sola parola. Come poteva spiegare a Rigel sul suo rapporto con Actarus, la sua vera identità, la sua voglia di combattere?

    Actarus guardava Venusia a cavallo sotto il tramonto, riflettendo sul fatto che, nonostante i suoi tentativi di tenerla lontana dalla guerra, lei ne era comunque rimasta comunque coinvolta, poi iniziò a pensare che avrebbero potuto combattere insieme, ma allo stesso tempo temeva moltissimo per la sua incolumità. Non voleva che lei rischiasse di perire in combattimento. Sapeva molto bene quanto i veghiani erano spietati.

    L’occasione le arrivò pochi giorni dopo, quando Alcor dopo un viaggio nello spazio infinito tornò esamine alla base. Goldrake era in serie difficoltà, dal monitor dello studio di Procton si capiva benissimo che da solo non poteva farcela.
    “Posso farlo io” pensò Venusia, e poco dopo si alzò in volo con Goldrake2.
    Actarus non la riconobbe subito, credette che finalmente Alcor gli fosse venuto in soccorso.
    Il primo tentativo di aggancio non andò bene, ma la seconda volta il tempismo e la sincronia furono perfetti. Insieme distrussero il mostro veghiano senza sforzi.

    Solo a fine combattimento lui si accorse che il pilota era in realtà la ragazza del ranch, fu quindi costretto ad arrendersi all’evidenza: lei era brava e coraggiosa, le forze di Vega sempre più agguerrite e la sua ferita al vegatron si faceva sempre più sentire.

    Combattiamo insieme Venusia contro questa crudele guerra, e alla fine vinceremo.

    Il rosso del tramonto in mezzo al cielo arancio, la primavera ormai sbocciata in tutto il suo splendore, sottolinearono questo momento drammatico, dolce e romantico insieme.
     
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    IL SACRIFICIO

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    Mineo,
    la tua giovane vita non è semplice, sei una combattente di valore, molto coraggiosa, con un grande senso del dovere, amore per la tua patria e i tuoi compatrioti.
    Il destino ha deciso che non puoi vivere spensierata e felice come meriti, ma il nemico vuole dominarti, la tua stella non è più indipendente e per tornare libera pretende la tua vita in cambio.
    Sai che non puoi sottrarti ai tuoi doveri e con un tremito che stenti a dominare nonostante il tuo coraggio, accetti questa crudele realtà e ti lanci nello spazio profondo.
    Sulla Terra incontri degli amici, non ci credi, è impossibile che siano dalla tua parte, per te è logico che vogliano solo ucciderti… invece no, anzi, ti accolgono come una persona speciale, sei ammirata, elogiata, tutti ti vogliono già bene. Come è possibile tutto ciò?
    Sì, è possibile, è un balsamo per l’anima, da quanto tempo non provavi questo sentimento quasi sconosciuto?
    Eppure era là, sepolto nella polvere dei ricordi, forse in un’infanzia lontana e sperduta, in una giovinezza mai vissuta, un rimescolio di pensieri e sensazioni lontane, che ora ritornano vive e prepotenti.
    E’ così naturale lasciarsi andare al bene… puoi restare qui per sempre se lo vorrai…

    Ti ridesti all’improvviso! “Cosa mi succede? Sono qui per compiere la mia missione, cosa sto facendo?”
    In un gioco di luci e ombre, di bene e di male, volere e negare, il tuo cuore non ha pace.
    Alla fine decidi: “Me ne vado, qui non posso restare, addio a tutti. Grazie, vi ricorderò sempre.”
    Ancora una volta sparisci nel cielo, adesso in una notte trapunta di stelle.

    Ma il nemico non perdona il tuo tradimento, ha deciso che non devi più vivere! Per lui non servi più a nulla e vuole vendicarsi!
    Vieni colpita, anche se l’amico “terrestre” che condivide la tua sofferenza, esilio, nostalgia e rimorso, è già in soccorso. Ma è troppo tardi!

    L’alba che si adagia sul mare ti dà l’ultimo dolce saluto, ma non sei sola; due braccia ti sostengono e ti implorano di resistere, di farti forza.
    Il tuo pensiero è per la tua patria, per la sua indipendenza… e la raccomandi a lui.
    L’amico che è con te, promette di combattere sempre fino alla fine, di vendicarti… il tuo sacrificio non è stato inutile, ricordalo!

    Ora il tuo spirito libero e leggero vaga sopra ogni cosa, vola a casa tua, puoi restare lì per sempre adesso, non vi lascerete mai più se lo vorrai.

    Ricorda sempre che il Male può vincere qualche battaglia, ma non la guerra!
    E’ così, e non ho bisogno di ricordartelo, perchè lo sai già.
     
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    TEMPI MODERNI

    1_130

    La montagna altissima di fieno appena tagliato, era stata messa sul carro da Rigel a tempo di record.
    Non che gli fosse venuta la voglia matta di lavorare, ma la rabbia che gli era montata dentro quel giorno, l’aveva obbligato a sfogarsi in quella maniera.
    Non solo sua figlia si era presentata nel mezzo del cortile con una nuova minigonna tanto corta e indecente, no, anzi! Si era pure messa in mostra davanti a tutti facendo una specie di sfilata, e Mizar l’aveva lodata e approvata per il suo nuovo look, quanto ad Actarus… beh, lasciamo stare, il suo sguardo ammirato non gli era piaciuto per niente, il solo pensiero gli faceva ribollire il sangue nelle vene e salire la pressione a livelli preoccupanti.
    Solo contro tutti era, ecco! Aveva gridato e sbraitato tanto senza ottenere niente, quindi era corso in cucina per bere qualcosa, visto che ad arrabbiarsi in quel modo gli si era seccata la gola.
    Ad un tratto, il suo sguardo era stato catturato da una busta che aveva visto sulla credenza…

    “Che cos’è? voglio vedere, non saranno i soliti conti da pagare, spero… no, è strano, sembra profumata, vediamo cosa dice. C… cosaaa? E’ per Venusia? E chi gliela manda? Ci sono tanti cuori stampati sopra e poi…”
    Sulla busta, c’era scritto: “Per Venusia – Top Secret – Privatissimo - Vietato aprire.”
    “Vietato guardare, eh? Si capisce, deve essere un suo ammiratore, adesso lo sistemo io, lo faccio a pezzi, sono suo padre e ho il dovere di leggere questi messaggi di certo indecenti e scandalosi! Credo già di sapere chi è stato.”
    Tutto un fremito, Rigel aprì la lettera e subito lesse, scritto a caratteri cubitali in rosso vermiglio: “CURIOSONE! Ci sei cascato, eh? Ih, ih, ih!”.
    In mezzo alle scritte, tante emoticons piene di allusioni.
    Coi denti stretti e pieno di rabbia, buttò il foglio a terra saltandoci sopra, pestandolo con tutta la forza. Dalla porta socchiusa, Alcor aveva visto la scena ridendo a più non posso, cercando di non farsi sentire. Lui e Mizar erano i due autori dello scherzo riuscito benissimo.
    “Ci vorrebbe una cinepresa”, pensava Alcor “questa è una scena da immortalare.”

    Era decisamente una giornata no per il povero ranchero, tutti lo avevano più o meno implicitamente accusato di essere retrogrado e con le idee fuori moda. Nella mattinata aveva tirato fuori una mitragliatrice preistorica e con quella, aveva avuto l’ardire che sarebbe stato capace di spaventare tutti i veghiani, sì, sarebbero fuggiti nello spazio soltanto a vederla da lontano.
    “Vedrete, con questa salgo sulla mia torre di controllo, appena spunta un minidisco gli sparo, dopodichè, il mostro che lo segue, scapperà lontanissimo, nessuno oserà mai più avvicinarsi a noi.”
    Inutile dire che i suoi figli gli avevano riso dietro senza farsi scrupoli, Alcor era uscito con una battuta al vetriolo e Actarus se ne era andato senza dire niente: con quel silenzio aveva già detto tutto.
    Era inutile: Rigel non capiva niente di capi all’ultima moda, né di armi belliche. Tutti lo pensavano e glielo dicevano a chiare lettere.

    Decise quindi di andarsene lontano a cavallo del suo purosangue: una corsa solitaria nella prateria gli avrebbe fatto bene, solo gli animali potevano capirlo, tutti gli altri erano ingrati e tanto maleducati.

    Incredibile a dirsi, ma anche sulla base lunare succedevano fatti simili.

    Il Comandante Gandal era entrato nello studio dove lavorava insieme a Zuril; appena acceso il computer, si era accorto che vicino al suo tavolo c’era una grande busta chiusa con scritto sopra:
    “Per il Ministro Zuril - Privatissimo – Formule segrete”.
    “Formule segrete, eh? Hai capito, hanno mandato queste cose solo a lui perché possa fare carriera, così io rimango di molti gradini più in basso.”
    “Apriamolo subito Gandal, deve ancora nascere quello che può dire di averci fatti fessi!” intervenne prontamente la sua dolce metà.
    “Anche se è sigillata, conosciamo il sistema per aprirla e richiuderla senza che si conosca niente.”
    “Lo so da solo come si fa, lasciami fare” le rispose lui con un moto di fastidio.
    Una volta aperta la busta con perizia, i due coniugi lessero avidamente il contenuto che diceva:

    NUOVA FORMULA PER DISINTEGRARE LE SPIE E I COMANDANTI ANTIQUATI

    50 gr di Comandante Gandal
    50 gr di Lady Gandal
    70 gr di Vegatron
    30 gr di Impiccioni
    35 gr di Curiosoni
    50 gr di Traditori
    20 gr di Bastardi
    50 gr di Fessi
    90 gr di Alcol purissimo

    Mescolare bene gli ingredienti, frullare il tutto alla massima potenza, mettere il liquido in parti uguali dentro una formazione di minidischi e spedirli in missione vandalica sulla Terra.

    Dalla sua camera, Zuril si godeva lo spettacolo in diretta del video, dato che in precedenza aveva sistemato una telecamera nascosta nella stanza ricerche.
    “A posto! Stasera lo mando a re Vega che ora si trova su Rubi per aiutare la figlia. La rivolta appena scoppiata richiede strategie intelligenti per essere soppressa, di sicuro dovrò andare là per aiutare… resterò solo con la principessa… notti di fuoco mi aspettano…”
    Zuril si accomodò meglio sulla poltrona e continuò la sua riflessione.
    “Le mie nuove formule strategiche appena collaudate si trovano al sicuro in un posto che so io…” Un sorriso ambiguo lo illuminò tutto.
    “Ho anche trovato il modo per far cadere ai miei piedi tutte le donne che voglio… so come fare a conquistare in un colpo tutti i pianeti… sono un genio, e non è certo una novità.”

    I coniugi Gandal intanto, meditavano vendetta. Avevano subito capito chi era l’autore di quello scherzo sadico e cattivo, ma loro non erano certo di pasta buona, sentirsi in ridicolo in quella maniera li aveva fatti imbestialire.
    “Cosa facciamo, dobbiamo farla pagare a quello là, chi si crede di essere! Brutto verme schifoso e repellente, vigliacco!”
    Lady Gandal era la più inviperita, quindi disse: “Cosa dici se gli facciamo un bello scherzo mentre dorme? Sì, infiliamo delle gocce di sonnifero nella tisana che beve ogni sera, e mentre si trova nel mondo dei sogni, gli facciamo un bel trucco femminile molto marcato. Quando si presenterà così conciato davanti al sire e Sua Altezza, ci sarà da ridere!”
    “Mmm, l’idea sarebbe anche buona, ma quel vanesio, prima di uscire, passa molte ore ad ammirarsi davanti allo specchio, se ne accorgerebbe subito.”
    “Gli facciamo il sacco nel letto come qualche estate fa? Ci siamo divertiti la faccia, ti ricordi?”
    “Mi ricordo anche quanto re Vega si arrabbiò con tutti noi per via dello scherzo! Voleva mandarci via! No, non va bene, poi quello è cosa da poco, lo fanno i bambini, per quella brutta bestia ci vuole un colpo basso, molto più basso di quello che ci ha fatto lui.”

    Sentirono un rumore di passi nel corridoio. Zuril aveva fatto i bagagli e stava per partire: destinazione pianeta Rubi. Si era profumato in un modo così terribile, che tutti gli insetti vaganti nella base, erano rimasti stecchiti. Peggio di ogni veleno, accidenti!
    In ogni sua mossa, si poteva indovinare la frase: “Sono il meglio, il più bello, il più intelligente, il più bravo…”
    “Anche il più scemo” sussurrò Lady Gandal.
    “Ho un’idea!”
    “Credo di aver capito.”
    “Davvero?”
    “Sì, hai pensato di mandare un bel messaggio al nostro sovrano, giusto?”
    “Adesso mi leggi anche nel pensiero?”
    “Beh, siamo una cosa sola!”
    “E allora, via!”

    Mentre Zuril atterrava su Rubi, re Vega leggeva questa lettera:

    Sua Maestà, Grande Sire,
    i Vostri devoti e fedeli servitori, hanno il dovere di metterVi in guardia circa alcuni atti gravissimi che stanno per attentare la Vostra incolumità, nonché quella di Sua Altezza, la principessa Rubina.
    Il Ministro delle Scienze, dentro quella scatola che sta per portarVi, ha messo un potentissimo spray in grado di farVi perdere i sensi in un istante. Il suo scopo è quello di attentare la virtù e l’innocenza della Vostra amatissima erede, averla per sé con l’inganno e prendere il Vostro posto.
    Abbiamo scoperto molti altri tradimenti che non stiamo per ora ad elencare, definire questi sabotaggi col reato di Lesa Maestà è un eufemismo.
    Inoltre, ha copiato da noi alcune scoperte nuove e importanti facendole passare per sue invenzioni: come non bastasse, ha accusato me e la mia consorte, di essere con una mentalità ancora allo stato primitivo, lui invece… Vi potete immaginare quanto si sia esaltato.


    Sempre a Vostra disposizione per altri dettagli,
    i Vostri fedelissimi servitori


    Comandante Gandal Lady Gandal
     
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    MIRAGGI

    1_138

    L’episodio della serie è il 32 “Un miraggio mortale”, così riassunto:

    Zuril mette a punto un generatore di miraggi e lo applica ad un mostro pilotato dalla sosia della regina di Fleed. Il piano consiste nel trarre in inganno Goldrake con un miraggio della città di Fleed per farlo uccidere al tocco di un anello che emette raggi protonici. Actarus si accorge appena in tempo dell'inganno e distrugge il generatore di miraggi, ma durante la battaglia i raggi protonici emessi dal mostro risvegliano la ferita sul braccio. Immobilizzato Actarus verrà salvato da Alcor grazie al raggio ciclonico, montato per l'occasione su una jeep.


    E un fuori onda secondo me

    Dopo quell'ennesima sconfitta dove la vittoria era già in pugno, re Vega si era chiuso nelle sue stanze e non voleva parlare né vedere nessuno.
    Mariene era morta nello scontro, ma ciò che davvero faceva uscire dai gangheri il sire era il fatto che non fosse stato Goldrake e il suo pilota, anzi, lui stava davvero vedendo la fine.
    Era stato Alcor, dannazione, con un mezzo anche rudimentale da come lo aveva visto sullo schermo; però grazie a quel sistema che sparava un raggio ciclonico distruggendo il mostro, i terrestri avevano vinto anche quella volta.

    “Non è possibile questo epilogo, era un piano infallibile… messo a punto da Zuril. Se nemmeno con questo sistema ci siamo riusciti, non so come sarà possibile una prossima vittoria”. Così ragionava tra sé il sovrano percorrendo la stanza a grandi passi. La rabbia gli si era accesa dentro e si alimentava di continuo come una fiamma inestinguibile.
    Il senso di fallimento per quella battaglia finita male lo aveva riversato sui comandanti, anche se, obiettivamente, questa volta non ne erano i diretti responsabili.

    Hydargos era stato spedito nelle cucine a fare lo sguattero, Gandal e signora nell’immensa soffitta della base lunare a pulire e riordinare. C’era così tanta polvere che subito iniziarono a tossire a più non posso, mentre vedevano delle fitte ragnatele nere che ricoprivano tutto il soffitto.
    Il pragmatico Ministro delle Scienze non se l’era passata certo meglio degli altri: re Vega gli aveva inviata una mail strapiena di improperi e parole poco ortodosse.

    … e se volete continuare a lavorare per me, vi dico da subito di cambiare registro, altrimenti vi licenzierò senza ripensamenti…

    Zuril rivedeva sullo schermo del computer quelle parole e intanto meditava un nuovo sistema contro Goldrake.
    Riguardò il progetto da lui ideato per i miraggi: un capolavoro! Un qualcosa che doveva essere infallibile! Maledizione! Quel che più gli bruciava dentro, era stato il fatto di essere stato battuto dal quel “rudimentale” raggio ciclonico che quel terrestre aveva puntato contro Mariene. Mancavano solo pochi secondi... Duke Fleed era prossimo alla fine.
    Aveva tanto goduto vedendolo soffrire e la successiva bruciatura dell’umiliazione per la sconfitta, era stata di pari intensità.

    “Non posso buttare via questa geniale idea, ci deve essere per forza un modo per riutilizzare i miraggi e averne un vantaggio per noi! E’ un sistema fantastico, devo ritentare!”

    Chiamò Hydargos, ma era sorvegliato a vista dai soldati mentre era intento a pelare patate.
    “Per quanto ne hai?” gli chiese indicando la montagna di tuberi sul tavolo.
    “Secondo te?” gli rispose di rimando guardandolo in cagnesco.
    “Mi sono anche tagliato un dito, accidenti!” imprecò mostrandoli il pollice fasciato.
    “Allora hai bisogno di una fasciatura fatta meglio, vieni con me”.
    “Non ho il permesso di assentarmi, io…”
    “Mi prendo la responsabilità, vieni con me, è importante”.
    “Dove credete di andare?” li minacciò il cuoco con aria truce.
    “Pensa a cucinare che è meglio! Levati di mezzo palla di lardo, noi abbiamo da fare!”
    Gli rispose Zuril in malo modo, spingendolo di lato con forza.

    Correndo, i due percorsero il lungo corridoio che conduceva allo studio: si chiusero dentro a doppia mandata.
    “Il dito mi fa male e ricomincia a sanguinare…” piagnucolò Hydargos.
    “Questo ti fa passare tutti i mali”, gli disse lo scienziato indicando una bottiglia.
    “Ohh… ma è un cognac pregiatissimo… della migliore annata per giunta. L’etichetta non mente”.
    Con occhi lucidi di desiderio, Hydargos fissava il vetro. Non potendosi contenere, tese la mano per assaggiarla.
    “Bevine un bel sorso, poi dimmi come ti sembra”.
    Non se lo fece ripetere due volte, erano giorni che viveva di solo pane scuro e acqua chiara. Si attaccò direttamente alla bottiglia e in pochi istanti ne vuotò quasi la metà.
    Quando si rese conto del pessimo sapore che aveva, sputò tutto sul lavandino e iniziò a tossire.

    “M… ma… s… si… può… sapere…. C... cosa… che roba è quella… Puà, è amaro, che schifo! Sarà mica veleno?”
    Con calma serafica, aria soddisfatta e braccia incrociate, Zuril si godeva la scena.
    “E’ sciroppo per la tosse”, gli disse scandendo bene le parole.
    “Non è possibile! Ma il colore del liquido, l’etichetta, il vetro… io me ne intendo, quello è il cognac più pregiato che ci sia!”
    “Illusione!”
    “Cosa?!”
    “Un miraggio. E’ stato un miraggio; l’esperimento è ben riuscito, no?”
    “Non ti azzardare mai più a fare una cosa del genere, chiaro? Da giorni sono incarcerato in quella dannata cucina, e tu mi fai di questi scherzi!”
    “Vediamo se funziona ancora. Di sopra c’è Gandal, perché non andiamo a fargli una visitina?”
    “Lasciami fuori da questi intrugli, torno di là, almeno un sorso di vino annacquato lo rimedio”, borbottò Hydargos e, con l’umore sotto i tacchi prese la strada che conduceva alla dispensa.

    Zuril invece, salì in cima alla soffitta.
    “Qual buon vento?” lo investì con malcelata ironia Lady Gandal, coperta di polvere e ragnatele dalla testa ai piedi.
    “Non dirmi che ti sei degnato di venire qui ad aiutarci! Il grande scienziato che si mette a fare le pulizie… roba da far ridere i polli”.
    “Forse il Ministro delle scienze ha inventato un nuovo metodo aspiratutto. Le sue genialate sono all’ordine del giorno ormai”, lo stuzzicò Gandal con perfidia, lasciando intendere con quella frase i recenti fallimenti bellici.
    Zuril non si scompose affatto, ma osservò attentamente i due che stavano in mezzo a quella stanza nera e grigia, dove i ragni sembravano moltiplicarsi a vista d’occhio; lei brandiva un preistorico piumino per la polvere, lui in bilico su una scala a pioli intento a vuotare armadi.
    “Perché fate tutto a mano? Ci sono i robot, no? Dove li avete lasciati?”
    “Ma sentilo l’intelligentone! Re Vega si è talmente arrabbiato, che ci ha lasciato senza mezzi elettronici! Vuole tutto pulito, presto e bene. Capito? Invece di stare lì con le mani i mano e quel sorrisetto idiota stampato in faccia, aiutaci che sarebbe ora! Non sei stato tu forse a ideare quella cretineria dei miraggi?” lo aggredì la donna arrabbiatissima.
    “Sono venuto apposta per questo…” le rispose Zuril con un enigmatico sorriso.
    “Uscite per alcuni minuti… vi chiamerò io”.
    I due coniugi, tossendo a più non posso se ne andarono nel corridoio piuttosto sollevati. Non capivano cosa stesse succedendo, ma il solo fatto di poter prendere una boccata d’aria senza polvere, era un grosso sollievo per loro.

    Cinque minuti dopo, videro la porta che si apriva, quindi entrarono. Quello che videro aveva dell’incredibile.
    Quella soffitta sembrava ora una stanza da re! Tutta bianca e profumata di lavanda. Sulla finestra c’erano alcune piante di gerani, il pavimento in legno pregiato e lucidissimo, i mobili laccati e moderni. Erano sparite le cose inutili, tutto era in ordine meticoloso, l’aria respirabilissima.
    “Visto? Che ve ne pare?” chiese ai due che erano rimasti inebetiti.
    “Ma… come hai fatto?” chiese lady Gandal con soggezione.
    “Non ha importanza, vi basti pensare che ho svolto io il vostro lavoro. Adesso siete liberi”.

    Non se lo fecero ripetere due volte e corsero come razzi nei loro appartamenti.
    Il re li intravide nel corridoio e li bloccò subito.
    “Dove andate? Vi siete forse dimenticati che voglio tutto il piano superiore pulito e tirato a lucido come uno specchio?” li aggredì a voce alta.
    “Tutto a posto maestà! Se volete, potete controllare di persona”.
    “Mmm…” borbottò Vega per niente persuaso.
    “Come avete fatto in così poco tempo? Vado subito a vedere, non mi fido”.
    “Veniamo anche noi…”
    “No! Restate qui, c’è tutta la sala dei computer da tirare a lucido”.
    Nella stanza c’era Zuril che stava comunicando col pianeta Zuul.
    “Di qui devi sloggiare: dobbiamo far pulizia”, gli dissero senza mezzi termini.
    Lo scienziato rimase impassibile a scrivere le sue formule, poi senza guardarli: “ci penso io come ho fatto con la soffitta, voi due aspettatemi nel seminterrato, nell’ala dove si fabbricano i mostri”.

    Un quarto d’ora dopo, re Vega scendeva al pianterreno visibilmente meravigliato. Possibile che in così poco tempo, quei due avessero fatto quel magnifico lavoro con in mano un vecchio piumino e uno straccio di tela?
    “Mah… forse si sono presi paura… hanno pensato che li buttassi fuori… meglio così! Come ho sempre detto, le maniere forti servono! Sono sicuro che adesso fileranno sempre dritto e la prossima volta ridurranno Goldrake come una sfoglia. E la Terra sarà nostra”.
    Guardò in giro e non vide nessuno: si avviò spedito nella sala dove avrebbero dovuto esserci i coniugi Gandal per riordinare.
    Era vuota, ma pulita e ordinatissima! Come avevano fatto?
    Alquanto confuso, il re pigiò un tasto, quello per le chiamate urgenti.
    In pochi secondi, Gandal e Zuril si presentarono sull’attenti nella Sala del Trono.
    “Dove vi eravate cacciati? Non dovete assentarvi senza il mio permesso, chiaro? Voglio sempre essere aggiornato su ogni vostra mossa, vi proibisco di prendere iniziative!” ruggì battendo il pugno sul tavolo.
    Dopo un lieve e ossequioso inchino, Zuril prese la parola.
    “Maestà, la scorsa settimana ci avevate detto di portare a compimento quel mostro lasciato a metà… ricordate?”
    “Sì, e allora?”
    “Ricorderete anche di quel soldato che vuole fare carriera…”
    “Perfettamente”.
    “Bene, se voi siete d’accordo, abbiamo pensato di lasciare a lui quel lavoro. E’ un ragazzo forte e volenteroso, oltre a vantare un coraggio fuori del comune”.
    “Andiamo al sodo”, gli disse il re impaziente.
    “Quel giovane, ora è giù in magazzino e dopo alcune nostre dritte, sta lavorando di buona lena per la costruzione di quel disco bellico. Sono certo che verrà fuori qualcosa di speciale… fidatevi maestà”.
    “Andiamo a vedere, sono io che decido!”.

    Si avviarono insieme nel seminterrato e Vega rimase a bocca spalancata per lo stupore.
    Un altissimo robot dai colori fiammanti esibiva una figura di acciaio ricoperta di lame taglienti: gli occhi mandavano raggi letali, dalla bocca uscivano scosse elettriche potentissime.
    Lo osservò bene da ogni lato e si convinse di non aver mai visto nulla di così potente.
    Il ragazzo che doveva guidarlo stava in disparte visibilmente imbarazzato. Il sovrano gli si avvicinò e con un gran sorriso gli strinse la mano.
    “Se hai fatto tu questo lavoro, sei davvero un giovane fuori dal comune. Mai visto niente di simile!”
    “Beh, diciamo che il robot era già quasi pronto, io ho aggiunto le armi e se Sua Maestà lo permette, vorrei guidarlo e scendere sulla Terra per battermi contro Goldrake”.
    “Te la senti? I miei comandanti non sono mai stati capaci di una cosa simile”, disse volgendo lo sguardo sprezzante verso Gandal e Zuril.
    “Sì, anche subito!”
    “E sia! Gandal, invia tre formazioni di minidischi, poi al tuo segnale, il ragazzo scenderà in campo. Questa volta sei finito Goldrake!” gridò il re saltando per la gioia.

    Gli ordini vennero seguito a puntino. Il primo ad avvistare l’ufo fu Rigel, dalla sua torre di controllo: ormai sapeva che non erano amici come aveva creduto per tanto tempo, quindi prese il winchester e lo colpì in pieno abbattendolo sul colpo.
    “Evviva! Maledetti ufo, vi riduco in polpette, sloggiate di qui!” e per essere certo di non avere altre noie, continuò per alcuni minuti a sparare nel cielo turchino.

    Su Skarmoon regnava un silenzio di tomba. Re Vega si era chiuso nelle sue stanze e non voleva vedere nessuno.
    Nella sala riunioni, Gandal interrogava Zuril sul come e perché il disco non aveva funzionato.
    Lo scienziato prese un lungo sigaro e, dopo aver aspirato una boccata di fumo, gli rispose con calma serafica.
    “E’ stato un miraggio, non hai capito?”
    “In che senso?”
    “Nel senso che il perfetto robot da combattimento, così come appariva agli occhi di tutti, altro non era che un ammasso di rottami in demolizione… ma con l’effetto del sistema che produce miraggi, l’ha fatto sembrare una grande e potentissima arma da guerra”.
    “E perché una cosa simile? Non ti interessa più conquistare la Terra?” chiese Gandal con sguardo ebete.
    “Certo che mi interessa, ma ho bisogno di tempo per inventare una nuova e valida strategia. E di tempo, il re sembrava non volesse più concederne a nessuno di noi, giusto?”
    “S… sì, ci ha messo a fare i domestici…”
    “Esatto! Avendo nel frattempo sacrificato una inutile e insignificante leva, possiamo pensare di elaborare qualcosa di intelligente; e di questo fallimento, noi non ne siamo responsabili. Almeno per quanto crede Sua Maestà”.
    Lady Gandal uscì senza preavviso e avanzò le sue ragioni.
    “Mi sta bene… però voglio essere io l’artefice assoluta del prossimo attacco; solo così terrò la bocca cucita con chi so io”, strillò con voce perforante.

    Zuril e Gandal assentirono in silenzio.
     
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    DUE CUORI VICINI E LONTANI

    1_181

    L’inverno era ormai alle porte.
    “Una nuova stagione avanza e sono due anni che Actarus è venuto qui alla fattoria; già due anni sono passati, anzi, volati” pensava Venusia, mentre in silenzio chiudeva la porta della stalla.
    La memoria la riportò indietro, quando viveva in America e Mizar non era ancora nato.
    Anche là c’era un ranch con tanti animali e anche dei cavalli, fin da bambina aveva sempre cavalcato, tanto che adesso, le veniva naturale come camminare.

    Rigel e Procton erano amici di lunga data, per cui, quando l’illustre scienziato aveva deciso di costruire un suo osservatorio astronomico, Rigel l’aveva seguito in Giappone, dove adesso viveva e lavorava in quella grande fattoria.
    Un giorno Procton aveva fatto “apparire” Actarus, presentandolo come suo figlio al ritorno di un lungo viaggio di studi per il mondo.
    Da subito aveva fatto amicizia con Mizar e Venusia, il lavoro insieme era una fatica, ma anche piacevole, perché tutti e tre erano molto affiatati ed era facile per loro andare d’accordo.
    Che emozione provavano ogni volta, quando potevano assistere alla nascita di un puledro: subito cercava di alzarsi, e benchè ancora malfermo sulle zampe, non si dava per vinto, tutti e tre ad incitarlo e incoraggiarlo. Che soddisfazione!

    Hara e Banta erano i vicini coi quali erano entrati da subito molto in confidenza, anzi, ad essere precisi, erano stati i due messicani a non farsi tanti problemi di galateo quando si trattava di chiedere favori, cose in prestito, passare dal territorio di Rigel per accorciare la strada.
    A onor del vero, per Banta, la vera attrattiva era Venusia: ogni occasione era buona per avvicinarsi a lei e farle la corte. Nemmeno lo schioppo di Rigel puntato ad un palmo di naso, riusciva a farlo desistere.

    Sul calare della sera, Venusia entrò nella stalla in cerca di Actarus.
    “Actarus! E’ già tardi, non vieni a cena?”
    “Finisco di mettere in ordine.”
    “Ti aiuto, così fai prima.”
    Canterellando, i due si misero di buona lena a sistemare la paglia.
    “Venusiaaa!!! Ti avevo proibito di venire qui! Ecco perché fai sempre tardi la sera!
    Non devi stare vicina ad Actarus più di trenta secondi, capito?
    Anche le stelle sono contrarie, dicono che verrà dallo spazio l’uomo giusto per te!”
    “Lo stavo solo aiutando per finire il lavoro, lasciami stare!”
    “Come ti permetti di parlarmi con quel tono? Sono tuo padre ricordalo!”
    Nell’ascoltare il battibecco, Actarus sorrise dentro di sé: lui veniva dallo spazio, quindi logicamente era lui la persona giusta per Venusia, ed era ciò che entrambi desideravano.

    Il mattino seguente, la ragazza era con Mizar nella vasta prateria, le mandrie erano al pascolo e lei con sguardo sognante, aveva gli occhi fissi solo su Actarus, il quale le veniva incontro cavalcando con estrema disinvoltura, col suo portamento fiero e nobile; al contempo, pareva totalmente inconsapevole del suo fascino e proprio per questo, era agli occhi di lei, irresistibile.

    “Oh Actarus, vieni qui.”
    “Ehi Venusia, si salutano gli altri, prima di tuo padre?” la riprese Rigel alquanto di malumore.
    Il ragazzo era tutt’altro che dispiaciuto, le rivolse uno sguardo di intesa che lei afferrò subito, quindi lesta scese dal recinto di legno e balzò sopra un purosangue, quindi si lanciarono in una folle corsa che li portò dritti in una radura, dove c’erano una cascata e un ruscello, lontano da tutto e da tutti una volta tanto!

    Rigel l’aveva presa malissimo, era saltato sul cavallo, ma nello slancio esagerato l’aveva spaventato, quindi, essendo ancora un puledro oltremodo suscettibile e indomito, si lanciò in una corsa folle e disperata.
    “Aiutoooo, fermate questo coso, aiutatemiiii!!!!!”
    Aveva lasciato le redini ed ora, impigliato al cavallo, lo seguiva nella corsa strisciando a terra, finchè ad un certo punto la fune si ruppe e Rigel venne scaraventato dentro un fosso pieno d’acqua.

    “Tutto bene?” gli chiese Alcor preoccupato, avendo visto la scena dalla sua jeep, quindi aveva ingranato la quinta per raggiungerlo e ora lo stava portando verso casa.
    “Tutto bene, un corno! Guarda che disastro, la mandria si è dispersa, ora chi la riprende più?
    Venusia è scappata con quell’Actarus, ma ora vado a cercarli, non sono contento finchè non li ho ritrovati, gliela faccio vedere io a tutti e due!”
    “Calmati Rigel, hai bisogno di riprenderti da questo brutto colpo, ti accompagno da Procton.”
    “No e poi no! Io a casa non ci vado!”
    “Ma dai! Prima di sera tornano, di cosa ti preoccupi?”
    “Certo che mi preoccupo, io ci tengo alla reputazione di Venusia, non deve stare sola con un uomo nemmeno per un minuto, mai e poi mai!”

    Alla fine, Alcor riuscì a calmarlo e insieme a Mizar aiutò a sistemare le stalle, mentre con Banta fece rientrare la mandria dentro la fattoria.

    Più tardi, Rigel si decise a recarsi dal suo vecchio amico Procton. In fondo, quel luogo era l’ideale per lui che, da tempo remoto, desiderava incontri a tu per tu con gli extraterrestri.
    Si salutarono cordialmente, poi si piazzò subito davanti allo schermo tutto speranzoso di avere qualche contatto ravvicinato “del terzo tipo”.
    “Uhhh, che meraviglia! Non si può ingrandire? Che visione meravigliosa!”
    Muoveva a casaccio i tasti del computer per mettere a fuoco le immagini, poi prese il microfono per parlare con gli spaziali, assieme all’ardente speranza di venire esaudito.
    “Pronto? Pronto? Qui è Rigel, mi ricevete? Se mi ricevete, rispondete sì, se non mi ricevete, rispondete no!”
    I collaboratori del centro erano con gli occhi fissi sul proprio video, ma non poterono trattenere qualche risata nell’osservare tale personaggio eccitatissimo al solo pensiero di un possibile contatto di un “non terrestre.”

    Qualche ora dopo, Rigel si sentiva già meglio, quindi, lasciato il centro di Procton, si decise a sistemare sopra al carro guidato dai cavalli, le cisterne di latte che dovevano essere portate alla centrale.
    Era una strada sterrata, delle buche ovunque e il suo mezzo piuttosto malfermo.
    All’improvviso, davanti ai suoi occhi, gli apparvero Actarus e Venusia che correvano come dei pazzi a cavallo e si infilavano sulla strada in salita.
    “Ehi, voi due, ma che modi! Fermatevi, Venusiaaaaa!!”
    Sparirono in un lampo lasciando dietro di loro nuvole di polvere, mentre Rigel si trovava con il carro semi rovesciato e il latte a terra. Davvero arrabbiato, aspettò qualche istante prima di muoversi.
    “Io sono troppo buono, Venusia non ha voglia di fare niente, ma stasera mi sentono!”

    Qualche ora più tardi, Venusia stava sul divano del soggiorno in silenzio, mentre Rigel sfogava tutto il malumore represso.
    “Credi che non ci sia niente di male a far la scema con quello lì? Non lo capisci che è un buono a nulla, poi sei ancora minorenne, quindi farai ciò che dico io!”
    “Lasciami stare, voglio star sola”, gli rispose lei alla fine, poi uscì in silenzio e salì al piano di sopra; entrò nella sua stanza avvolta nella penombra.
    Una lama di luce si posava sul pavimento di legno, le fronde degli alberi mosse dal vento entravano a tratti dentro la finestra socchiusa.

    Si stese sul letto ripensando alle ore appena trascorse. Che bella giornata era stata!
    Non voleva sciuparne il ricordo con un ennesimo, aspro litigio col padre, per questo, dianzi l’aveva zittito con voce bassa e gentile. Aveva chiuso la porta dietro di sé senza rumore e in silenzio era salita per le scale.

    Quel prato e il mormorio del ruscello, l’aria satura dell’estate che si spegneva rendeva l’atmosfera così languida!
    Alla fine, per suggellare l’incanto, c’era stato il loro primo bacio, lieve lieve, quasi a fior di labbra, ma a ricordarlo, sentiva un calore in tutto il corpo, la bocca soprattutto, era come scottasse.
    “Non lo dimenticherò mai più”, pensava e al tempo stesso, riportandolo alla memoria continuamente, sperava che quegli istanti non finissero mai, che il tempo si fermasse in quel pomeriggio dove esistevano solo loro due, non c’erano obblighi, rimproveri, doveri, ma solo il mormorio del ruscello, il canto degli uccellini, i profumi della natura.

    Gli anni della sua adolescenza l’avevano vista a tratti insicura sul fatto di piacere o meno ai ragazzi; le ore trascorse a scuola e in palestra, erano state sì, terreno fertile per gli incontri, ma difficilmente erano sbocciati in qualcosa di più.
    Del resto lei viveva lontana dalla grande città, anche per le semplici spese si recavano al villaggio più vicino, a volte sentiva molto il peso della solitudine, specie in inverno, quando la neve copriva tutto col suo manto e le strade era quasi impraticabili.
    Da quando era arrivato Actarus alla fattoria però, non si sentiva più così sola, e senza che lei se ne accorgesse, anche l’insicurezza giovanile si era dileguata in modo costante e quasi impercettibile.

    Ripensò con un sorriso, alla goffaggine di Banta, quando in tutti i modi le faceva capire il suo interesse per lei, poi da poco era venuto Alcor, eh sì che era un bel ragazzo aitante, un pilota e uno scienziato eccezionale: di certo non gli mancavano ragazze attraenti e ben disposte nei suoi confronti, eppure, quella sera della festa alla fattoria, l’aveva invitata a ballare con uno sguardo carico di sottintesi.
    “Venusia, vuoi ballare con me?” le aveva chiesto con un sorriso molto complice.
    Rigel si era messo in mezzo, lei era alquanto seccata della reticenza di Actarus a decidersi di fare almeno un ballo con lei, però… sì, lei piaceva, non c’erano dubbi e nemmeno il motivo di dare corpo alle ombre.

    “Che ore sono?” si chiese ad un tratto. “Quasi ora di cena. Non ho fame e tantomeno voglia di cucinare”, sospirò.
    Dopo una giornata così, tutte le minuzie e incombenze domestiche le parvero di colpo pesanti, banali e monotone.
    Tuttavia si alzò lentamente, lasciò a malincuore la sua stanza e si diresse verso la cucina.
    Aprì il frigorifero e decise che un piatto freddo come un’abbondante insalata di riso sarebbe andato benissimo: faceva ancora abbastanza caldo, ma soprattutto era semplice e veloce da preparare.

    A quell’ora, di solito, come per un tacito accordo e perché l’appetito si stava risvegliando, tutta la famiglia si trovava già a casa, terminati i lavori pesanti, sentivano di avere più che mai diritto ad essere serviti a tavola.
    In ogni caso, preparare da mangiare non era unicamente sulle spalle di Venusia, anche Rigel sapeva cucinare molto bene, ed era molto fiero che i suoi piatti venissero apprezzati.

    La ragazza buttò lo sguardo fuori dalla finestra e incrociò quello di Actarus; si sorrisero un attimo, poi lui si avvide che il suo orologio segnava una chiamata dal Centro.
    “Actarus, abbiamo appena individuato uno stormo di minidischi…”
    “Ho capito, vengo subito!”
    Balzò in sella alla moto e in pochissimi secondi era già sparito.
    Venusia si rattristò perplessa. Non era la prima volta che questo succedeva, la stessa scena le era rimasta impressa nella retina, ed era lì, nitida e senza un senso logico secondo lei.
    “Perché fa così? Perché ogni volta che ci avviciniamo, poi ci allontaniamo di nuovo? Non mi dice niente, cosa fa, dove va quando si assenta per alcune ore… ma perché?”

    Tutta la gioia della bella giornata parve svanire in un baleno.
    “Non voglio certo impedirgli nulla, ma cosa c’è sotto queste sparizioni improvvise?
    E perché a volte, quando torna, è ansioso, stanco, con quella strana luce negli occhi, così lontana e irraggiungibile…” pensava Venusia, mentre con gesti fiacchi, sistemava i piatti sulla tavola.
    “Glielo chiederò, devo chiederglielo e lui deve dirmelo, qualunque cosa sia. Deve sapere che io ci sarò sempre e per qualunque cosa.”
    Dopo l’intimità di quella giornata sentiva di averne diritto e anche dovere.
    “Due persone che si amano devo fidarsi l’uno dell’altra. Domani, sì domani parlerò con lui, non c’è niente che non si possa affrontare se si è in due…”

    Il suo animo parve rasserenarsi un poco, mentre dopo la cena silenziosa, si accingeva a lavare i piatti.
    Il rumore della moto di Actarus, ruppe il silenzio di quella serata piena di domande senza risposte: era tornato, sì era già arrivato!
    Il suo posto a tavola era rimasto intatto, Venusia decise che non era quello il momento delle domande e dei chiarimenti, no, ora andava bene così, lui c’era, ed erano di nuovo soli.
    “Ciao” le disse lui. “Scusa il ritardo, ma…”
    “Non importa, è una cena che non si raffredda, è tutto a posto” gli rispose lei con un sorriso e nel suo animo, tra il dubbio e il sollievo, si trovò a pensare: “Domani è un giorno nuovo, tutto da inventare e quindi si vedrà. Oggi è oggi e siamo ancora soli, voglio godermi questi istanti più a lungo possibile, vorrei che il tempo si fermasse adesso.”
     
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    COMPLEANNO DI RUBINA

    1_207

    “Rubina, domani è il tuo quindicesimo compleanno, cosa desideri come regalo oltre alla festa?”
    “Mmm... vediamo, non so esattamente, diciamo che vorrei qualcosa a sorpresa, che mi piaccia molto, ma che non mi aspetto di ricevere. Voglio una vera improvvisata insomma!”
    Così rispose la principessa al padre, mentre era tutta intenta a sistemare le pieghe del nuovo abito avorio, ornare la coroncina di fiori, studiare un trucco fine e leggero.

    Intanto Rubina pensava che alla sua festa avrebbe invitato non solo la solita noiosa e prevedibile amica blasonata come sempre faceva, ma anche quel ragazzino conosciuto da poco che a lei piaceva davvero, ed era sicura di non essergli affatto indifferente.
    Si era stabilito su Vega da pochi mesi, doveva avere sui diciassette anni, era alto, carino, gentile, simpatico, educato, tutto insomma, quando lo vedeva le pareva di camminare qualche metro da terra, una sensazione mai provata.
    Da quanto ne sapeva, sarebbe rimasto su Vega a studiare per qualche anno forse, veniva da Altair, non era nobile, ma per lei era molto di più, era tutto!
    “Avrò modo di conoscerlo meglio”, pensava tutta eccitata all'idea che avrebbero ballato insieme e chissà che faccia avrebbero fatto le sue amiche!

    Il pomeriggio seguente, nel grande giardino del palazzo reale, era stata allestita una grande tavola, con sopra ogni sorta di cibi e bevande.
    Dei palloncini colorati ornavano le fronde degli alberi e delle siepi: il tempo era magnifico e tutto era stato predisposto al meglio.
    Gli invitati arrivarono puntuali nel primo pomeriggio; non erano molti, qualche compagna di giochi e studi di Rubina, tutte rigorosamente accompagnate dalle rispettive governanti.

    Da lontano, l'inconfondibile figura di Karl, si materializzò all'improvviso davanti al cancello, strappando un gridolino di gioia a Rubina, la quale, dimenticando per un attimo le regole di galateo, gli corse incontro. La palma sudaticcia per l'emozione, agganciò con forza la mano del giovane, poi quasi correndo lo fece accomodare dentro il giardino pieno di fiori e profumi.
    “Buon compleanno Rubina”, le disse il ragazzo baciandola lievemente sulle guance: “ecco, questo è per te”. Le porse un pacco di carta rosa confetto ornato da un fiocco dello stesso colore.
    Lo aprì subito emozionata: dentro c'era un libro con tutta la storia del pianeta Altair, un grosso volume illustrato e bellissimo.
    “Grazie”, sussurrò emozionata. “Lo leggerò stasera stessa.”

    Ad interrompere quello stato d'estasi, arrivarono due camerieri con in mano una torta grandissima, tutta bianca e con sopra quindici candeline accese.
    Rubina chiuse gli occhi formulando un desiderio nella mente, poi gonfiò le gote e soffiò con forza, spegnendo tutte le candeline in un colpo solo.
    Scroscio di applausi da parte degli invitati, baci, auguri, fiori, le solite cose trite e ritrite di tutti i suoi compleanni.

    Re Vega apparve al taglio della torta con un sorriso oltremodo raggiante e soddisfatto.
    Anche lui rinnovò gli auguri alla figlia, poi con uno sguardo strano, le indicò il suo regalo.
    “Questo è un dono specialissimo, ora sei grande, è l'inizio della tua vera vita da principessa e futura regina di Vega!”
    “Ma... non capisco, dov'è il regalo?”
    “Davvero non capisci? Fai uno sforzo, pensaci.”
    Rubina era troppo curiosa, voleva sapere subito.
    “No, dai dimmelo, da sola non ci arrivo.”
    “Guarda qui.”
    Le indicò un tablet, mentre col dito faceva scorrere delle immagini.
    “Cosa vedi?”
    “Ma... che roba è? Io vedo incendi, bombe esplose... che posto è? E' bruttissimo questo video.”
    “Affatto! Devi sapere Rubina, che poche ore fa, ho dato ordine ai miei soldati di occupare Altair per farlo nostro e ci sono riuscito al primo colpo. E' un luogo ricchissimo di materie prime, una miniera di tutto!
    E' tuo! E' solo tuo! A quindici anni sei già padrona di un intero pianeta! Questo è il regalo per te, sei contenta? Non te l'aspettavi vero? Dammi un bacio, cara” le spiegò il padre con un sorriso.

    “Più avanti, ti insegnerò come si fa a sottomettere i pianeti, la prossima volta sarai tu stessa ad occuparne uno, ti darò solo qualche dritta, lo so che sei in gamba, brava e capace... scommettiamo che entro due o tre anni, da sola, sarai già padrona di mezzo Universo? Cosa scommetti?
    Io sono più che sicuro, perchè sei mia figlia e mi somigli in tutto e per tutto...”

    Il monologo del re continuava all'infinito, intanto Rubina sentiva la testa che le girava e le forze venirle meno, poi lo sguardo si posò sulla torta e in una frazione di secondo decise cosa farne.
    Prese il vassoio dove era adagiata e con forza la rovesciò tutta sopra al suo arrogante, sanguinario, insensibile e ottuso genitore, chissà che non avrebbe smesso di dire idiozie, una buona volta!

    “Certo che sono contenta, ora che ti ho sistemato per le feste! Grazie per avermi rovinato tutto, grazie, infinite grazie!”
    Accompagnò la frase con un inchino derisorio e si allontanò con passo deciso senza guardare nessuno.

    Re Vega era diventato un enorme bignè alla panna seduto al centro tavola in mezzo agli invitati esterefatti.



    FINE
     
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